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Le poesie viareggine

Le poesie viareggine

Buona lettura!

Il massimo pittore viareggino vivente presenta la sua città al forestiero.

Venite a Vedere e a Vivere il Vanto della
Versilia, la Voce, il Vivaio delle Vostre
Voglie.
Volate sui Viali, Vagabondate, Vegliate,
Versate Vino a Volontà, Vincerete i Vuoti
della Vostra Vanità.
Viva Viareggio! questo Vulcano di Vivacità,
questa Valanga non Violenta, ma Variopinta
Vernice Velata di Vividi Verdi e Vellutati
Violetti sui Vostri Volti che Vogliono
Verificare se la Vita Vale con Valori Veri.
Vegliardi e Vecchiette, se la Vista Vi Veglia
Vigilate e Vietate le Vigliaccate e il Vilipendio
le Violenze, le Volgarità…

Ma a Viareggio le Vele dove Vanno? Vanno
Veloci per le Vie del Vento dove Vi Vedete
Veleggiatori in un Vai e Vieni di Virate,
Vigilati da Velivoli e Volatili che
Volteggiano in questo Via Vai Vociferando
con un Variegato Vocabolario in queste
Vostre Vacanze.
Ehi! Vecchio! Vuoi Vedere che questa Volta
il Verdetto Volge a tuo Vantaggio? –
Verificheremo! – Intanto Vivaddio si
Vivacchia!

Vai!!!!!!!!

Viva Viareggio, Viva Voi!

Giorgio Michetti che Vive Vicino a Via
Vittorio Veneto.

Vantatevi di aver Visitato Viareggio

Dalla vetta del monte, dall’orlo dello stagno
Con zoccoli di legno e vesti di fustagno;
dai casolari dove, secondo gli usi vecchi,
ardono le lucerne d’ottone dai tre becchi;
dai borghi che si stendono a specchio del rigagnolo
ed hanno un campanile ed hanno un pizzicagnolo;
dai capoluoghi tronfi di vita provinciale
con circolo sportivo, garage e tribunale;
dalle città metropoli rinchiuse in una rete
di fili di binari di trappole segrete,
dove sui tetti miagola il coro delle radio
e il calcio si nobilita se dato nello stadio,
dove la guardia vigila l’apoplessia del traffico
e l’amore divaga dal coniugale al saffico;
a piedi, nella polvere, con aride le nari,
mentre lenti si svolgono i numeri migliori;
schierati sulle panche di venerandi cocchi
mentre la frusta sibila i fiocchi degli schiocchi;
sui fragili calessiche oscillano sull’asse
tirati da ronzini più magri di carcasse;
ansanti sui pedali di antica bicicletta;
erti sul motociclo che crepita e scoppietta;
sopra la piattaforma del tram che le persone
per la forza centrifuga ammucchia in un cantone;
nell’afa dei vagoni densi di pelli e cuoi
che ingombrano ed ingorgano persino i corridoi;
abbandonati all’impeto di un’Isotta Fraschini
in un silenzio soffice di gomma e di cuscini;
come a civetta estatica si arrendono gli uccelli,
come le donne isteriche guardano Gabrielli,
come raggi che al centro convergono del cerchio
nella superba plaga chiusa tra Magra e Serchio
voi convergete tutti, o figli di stivale,
attratti dal magnete che ha nome Carnevale.
Sei vegeto, vegliardo. Ti credevamo stracco
Dopo le feste orgiastiche per celebrare Bacco
Quando baccanti ignude toracentesi nel tino
Ballavano sui grappoli per inebriare il vino.
Magnificante il Medici che i Fiorentini ingordi
Seppe attirare all’amo con l’esca dei bagordi,
nell’epoca radiosa che partorì a bizzeffe
artisti cortigiani e cene delle beffe,
regnasti fra le donne dai placidi broccati,
fra i paggi adolescenti che in giro ai convitati
servivano pavoni sopra vassoi d’argento.
S’ imborghesì la terra. Pure nell’Ottocento
Abesti i tuoi trionfi. Vedemmo le pariglie
Delle carrozze regie con le livree vermiglie
Sfilare tra la zuffa signorilmente lieve
Di fiori che cadevano come fiocchi di neve,
di dolci sopraffini posati sopra il grembo,
di mascherate arguzie, d’impertinenze a sghembo,
e a tarda notte, accesi dal pepe e dal caviale,
sapemmo nel veglione quel che la carne vale.
Poi l’obbrobriosa fine. Si pervertì il costume.
Non più il confetto e il fiore, ma il gesso ed il legume.
E da un delirio sadico parvero tutti invasi
D’insudiciare gli abiti e d’ammaccare i nasi.
Or come fu che, logoro decrepito deriso,
venendo in questa terra trovasti il Paradiso?
E spianate le rughe e rafforzato il rene,
ti stimolò l’amore come il primo imene?
Qual siero portentoso, qual magica lusinga?
Perché con tanto amore accolsero il fuggiasco
Che impigliava la corsa nel fango e nel falasco?
Fu amore di tradizione? Fu mal celata stizza
Che un emulo asulasse nella contea di Nizza?
O fu l’invito tacito del duplice viale
Così chiaro e prolisso, proprio di Carnevale?
O fu – questa ci sembra la spiegazione accorta –
Il tedio interminabile della stagione morta?
Certo che in tutto il popolo arse la sacra fiamma.
Si scelse un comitato, si stabilì un programma.
I Passi, prima incerti, si fecero sicuri.
Ribassi ferroviari, affissi per i muri,
riviste, canzonette e premi per i carri che sembreranno
al pubblico più ricchi e più bizzarri.
Per costruire i carri si formano congreghe che,
chiuse nei cantieri tra lo stupor di seghe
e il tonfo di martelli, fan con la carta pesta
l’allegoria che tengono segreta nella testa.
Giunge il giorno fatidico. I fabbri, i maniscalchi
Hanno compiuto l’opera dei palchi e catafalchi.
Ed ecco, come un turbine, la folla che s’è detta
Irrompe e si precipita verso l’altra che aspetta.
Dal delirio frenetico è la città pervasa.
Soltanto i paralitici ci sono rimasti in casa.
Al mare! Tutti al mare! Solenne, il borgo mastro,
con forbici d’argento recide a mezzo il nastro
per darti il passo libero, meraviglioso pazzo,
che fra tanti vegliardi sei l’unico ragazzo.

Sii benvenuto, sire; e al popolo raccolto
per farti riverenza porgi benigno ascolto.
In me vedi l’interprete bisbetico e bislacco
il popolano autentico chiamato Burlamacco,
nome che non registra la dotta biblioteca
ma che ripete il fosso sacro all’anguilla cieca.
Osserva. Mentre squillano gli ottoni della banda
a te fan pittoresca volubile ghirlanda
le maschere più illustri di tutte le regioni
le femmine in gonnella, i maschi in pantaloni
e non come si vestono quando l’estate abbaglia,
le donne con le brache, gli uomini in vestaglia.
Grazie d’avere, o Profugo senza patria né tetto,
fra le terre ospitali la nostra prediletto.
Grazie del tuo soggiorno forzatamente breve
che ci riscalda i cuori nel tempo della neve.
Ma grazie sopra tutto di darci l’illusione
con lo stereotipato sorriso di cartone.
Sul magico viale è sfilato il corteo
con fasto di trionfo e gioia d’ Imeneo.
Ora da questo palco ascolta le canzoni
che scrissero in tua lode sopra diversi toni.
Poi, nella grassa decade, di te fan bella mostra
nei corsi e nelle corse, al ballo e sulla giostra
ma quando la Quaresima dirà la sua parola
sali sul rogo, impavido, come Savonarola.
E il tuo saluto, l’ultimo, si elevi dal falò:
“Cari, l’inverno prossimo, tra voi ritornerò”.

Non più paranze
Antichi fantasmi
Di un perduto mare,
non più cantar di marinaio
dal cuor di poeta
ma grovigli di muscoli
tesi nell’affannoso giorno.

Viareggio è il sorriso di una maschera
che un po’ ti prende in giro
Viareggio che ti porta sotta braccio
in una bolgia di magia
Viareggio è un’armonia di note,
la sinfonia di un cuore
Viareggio è il volto di un bambino
che qui vuole sognare.

Viareggio è il mare dei tuoi sogni,
è l’onda del tuo amore
Viareggio è il salmastro dei tuoi giorni,
la vela del tuo cuore.
Viareggio è tre colpi di cannone,
è un ballo nel rione,
Viareggio è un grande gioco di colori
che dice a tutto il mondo: “tu sei un re”.

Viareggio è quel che vuoi. Viareggio è quel che sei
Viareggio è quella favola che è chiusa dentro te
Viareggio è quel che vuoi, Viareggio è quel che sei
è quella dolce favola che porto dentro me.

Viareggio è due scacchi sul vestito,
un naso rosso, finto
Viareggio che si beffa della vita
col suo sarcastico sorriso
Viareggio è un faro che brilla.
un mare d’euforia,
un piccolo coriandolo al vento
in un volo d’allegria.

Viareggio è quel che vuoi, Viareggio è quel che sei
Viareggio è quella favola che è chiusa dentro te
Viareggio è quel che vuoi, Viareggio è quel che sei
è quella dolce favola che porto dentro me.

M’è garbato sta’ da solo, la notte di Natale quaggiù al “Tiroavvolo”,
anco se il freddo… l’artrosi cervicale,
consiglino la stufa, o il dovere coniugale!
“Da po’ che ti conosco” mi dice la mi’ moglie
ed ha ragione “mi scordo ogni stagione, mi passino le voglie!
un c’è Pasqua, estate né Natale, per te è sempre Carnevale!”
E per un litia’, visto che le s’è offesa,
son qui al mi’ baraccone, la sigaretta accesa
a sentì che dinno ‘mmascheroni
evitatelo, magari, il moccoletto, stanotte deve nasce il bamboretto.
Sarebbe bello nascesse vì, stasera.
Oltre alla miseria nera, un manca niente per avecci l’atmosfera:
c’è qualche potente della tera… in cartapesta
tanto per quel che ciano per la testa…
al posto della cesta, c’è quella forma da pigia’,sopra il caretto.
Il bue un c’è per riscalda’? Ni posso da’ il beretto.
Se po’ dicesse “Ho freddo, moio”, n’accenderemo un popò l’essiccatoio.
La pasta la tappamo, insinnò venghino ‘ttopi
E doppo, che fegura ci facciamo?
Le teste sopra ‘ccavalletti, ne li facciamo passa’ per angioletti
po’ n’accendemo la radio e aspettamo…
Basta che un canti Celentano!
Ci manchino… ha, sì… due o tre stelle filanti
E al posto della neve, coriandoli un so guanti.
Ci vole così pogo a esse boni
che ‘ppo’ un vol dì miga esse coglioni…
Basterebbe somiglia’ a ‘dde’ mascheroni
che raccattino la carta, un po’ da tutti, notizie belle e brutte
che po’ impastate insieme, ti mettino il soriso nelle vene!
Boni, zitti, già sonin le campane
il bamboretto nasce – o donne portatini le fasce –
o un lo senti come lagna – ma la ‘onosce la ‘oppa di sciampagna,
insinnò un ce lo volemo!
Giù un esse blasfemo… ed è la Notte Santa
dinni vadi a nasce’ a Pietrasanta!
Ci vole così pogo a noi, a fa’ di tutto una burletta
neanco fusse sempre canzonetta.
Però per noi è normale, scoprì che nella vita
Natale lascia il posto… al Carnevale!!!

Io, se fossi Burlamacco, ed io potrei anche esserlo,
sennò non vedo chi…
Io, se fossi Burlamacco, come le altre maschere, vorrei una storia,
cambierei contesto,
non starei sempre lì sul manifesto a non fare niente.
Sarei mica un dilettante, sarei sempre presente…
Starei davvero in Fondazione a spiare, o meglio a criticare,
chi non sa far niente…
Perché anch’io ho un cervello, e mi piace farlo funzionare!

Io se fossi Burlamacco, direi che il Carnevale, non è fuga dalla realtà,
non è evasione…
ma, come fa l’aratro con la terra, rovesciandola per renderla fertile,
il Carnevale è un po’ come una guerra… una rivoluzione…
che fa rinascere, che fa risorgere a una Nuova condizione.
Io, se fossi Burlamacco, sarei un arruffapopoli,
griderei sempre la verità,
tutto lo schifo che ci facciamo in questo mondo che non ha valori
se non il vile denaro, per cui si calpesta l’uomo, l’altro,
e griderei vendetta, per la voglia di giustizia…
perché Dio perdona… io no!

Io se fossi Burlamacco vorrei una gigantesca confessione generale,
con altrettante proposte e soluzioni positive ai nostri problemi.
Si va be’, lo ammetto, nella società dei consumi ogni occasione,
è buona per far feste, veglioni, confusione…
ma è evasione, fuga, non rigenerazione…
E allora Io se fossi Burlamacco, vorrei una rivoluzione,
ogni anno, perché rinascesse una generazione nuova
come… i fiori a primavera…
e certa gente, che si credono i padroni, la vorei vede’ col culo ‘n tera!

Io se fossi Burlamacco, farei tabula rasa,
provocherei la nuova ribellione dei colori sul grigio del cemento,
metterei dei prati verdi al posto dell’asfalto e userei coriandoli
al posto dei telefonini per dire “ti amo”,

perché se è giusto comunicar tra noi, è assai più giusto
farlo di persona, poter tornare a stringersi la mano…
Io se fossi Burlamacco sarei sicuramente poco serio e sempre mascherato
come dovreste essere voi…
che vi gloriate di tanta arroganza, che mettete abiti da festa,
che preferite l’apparire alla sostanza…!

Io se fossi Burlamacco, vorrei una città diversa…
piena d’addobbi e di provocazioni, nuovi di volta in volta,
e per tutto l’anno…
Perché Viareggio vorrei che fosse sempre “la città del Carnevale”.
Infatti non è mica normale, che chi arriva a Viareggio
si chieda, sgomento “dov’è il Carnevale?” …
E allora io, se fossi Burlamacco, griderei senza ritegno
“Dove sono lazzi e scherzi?” “Che porcheria!”
Almeno che non sia uno scherzo, il pagare un caffè 5000 lire,
e trovare alberghi chiusi, o troppo cari, da dovere fuggir via…!

Io se fossi Burlamacco vorrei gli alberghi sempre aperti,
ristoranti al prezzo giusto,
e inviterei tutte le categorie, siano gli untuosi commercianti e balneari
che i grigi politicanti ad un grande patto di complicità…
per poter usare al meglio le risorse, gli stimoli, la vocazione della mia città…
Io se fossi Burlamacco esalterei al massimo questa complicità.
Vorrei che ci trovassimo tutti d’accordo, non per spennare i polli,
ma per offrire servizi utili, giusti, ricezioni accoglienti,
non striscianti, non più provincialismo, ma cultura della complicità!
E allora ci vogliono: operatori competenti,
gestioni artistiche interessanti, ma soprattutto conoscenza e sincerità.

Io, se fossi Burlamacco, non sarei così coglione
da credere ai palpiti del cuore,
a chi in un coriandolo prova un’emozione,
poi fa di tutto, per entrare in quella congrega che è la Fondazione.
Cavalcatori di ogni tigre… uomini furbini…
vi ci movete proprio bene in tutti ‘sti casini…
Insinuanti astuti e tondi con le vostre spensierate alleanze di destra,
di sinistra di centro… coi vostri uomini aggiornati…
Nuovi di fuori, ma vecchi di dentro.
Finiti gli anni dei garofani rossi e dei soli nascenti…
inventate altre cazzate col mito del progresso
e della vostra schifosa ambiguità…
Ringraziate la berlusconiana dilagante imbecillità…!

Io se fossi Burlamacco, chiuderei la bocca a tanta gente.
Nel Consiglio della Fondazione non vorrei gente di partito tra le palle
perché la politica è schifosa e fa male alla pelle.
Logiche di spartizione, sistemi di lottizzazione, criteri di sistemazione,
anziché capacità professionali e cultura della Manifestazione.
Infatti, non è mica normale che si faccia il Carnevale con le cazzate tipo Tavolate
che uno neanche se le sogna
e Treni delle Maschere, Canzoni Comiche, Festival della Cucina
che fanno urla’ – Vergogna!
E se a quel Burlamacco che ancora s’accalora,
gli fa rabbia chi sperpera
gli fa anche più rabbia che un politico qualunque
trombato dal Comune perché in testa non ha sale
diventi il Presidente della Fondazione Carnevale!

Son gente a tutto tondo… senza guardarci dentro…
scivolan sul mondo… scivolan sulle parole…
Tante promesse… son solo folle..
Ma io se fossi Burlamacco non mi farei fregare da questo sgomento
e nei confronti dei politicanti sarei severo come all’inizio
perché a Burlamacco i furbacchioni non hanno fatto mai cambiar giudizio.
Per esempio certe gestioni ballerine…
Pur sapendo che io a ffa’ conti son più esatto di una Sweda
c’è chi a crede che un miliardo buttato in bischerate,
io non lo conti o non lo veda.

Fin’ora abbiamo scherzato?
No, ma a finire che uno prima o poi ci piglia gusto…
e con la scusa di Burlamacco tira fuori
tutto quello che gli sembra ingiusto.
Per esempio i Presidenti delle varie Fondazioni,
coi Consigli Comunali conniventi, una pastella,
hanno fatto sparire quei miliardi che dovevino servi’ alla Cittadella.
Che canaglie…
O forse c’è incastrato un regalino anche alla moglie?

Io se fossi Burlamacco, non sarei ridotto come voi
a ffa’ lavora’ la gente in cessi.
Non vorrei più compromessi. Vorrei la cittadella…
per bastona’ chi non la vuole userei qualche abetella
Spengerei anco il sole se potessi…
e piglierei a schiaffi i falsi, gli stupidi e i bigotti,
compresi tutti quelli che en passati da via Saffi.
Io se fossi Burlamacco, quel Burlamacco di cui c’è bisogno,
come di un miraggio
avrei ancora il coraggio di dire che dalla via Saffi
al Palazzo delle Muse
tutti hanno inventato mille scuse,
han voltato la gabbana
e han ridotto il Carnevale di Viareggio a una festa paesana…!

Io Burlamacco inventato e un po’ fittizio
prendo coraggio e sparo il mio giudizio
mandando tutti al rogo e non mi basterebbe come sfogo.
Io se fossi Burlamacco… non avrei proprio più pazienza
e inventerei una nuova morale che valga sempre,
soprattutto a Carnevale.
E farei suonare le trombe dell’Orselli,
per il mio particolarissimo giudizio universale…
Perché non suonano le trombe per i Rioni, per Caristi…
per le maschere o per le bande?
Perché non è comparsa ancora l’altra faccia della medaglia…

Io come Burlamacco…non è che non ho voglia…
Io come Burlamacco non dico certo che non siano giudicabili i Carristi…
Han fatto e fanno i loro errori… Ma non sono disprezzabili
…sempre sotto esame, ma soprattutto presi per la fame…
E allora parlo di loro, lavoratori infaticabili,
potrebbero fa’ meglio, lo sanno anche loro.
Vell’altri… i chiacchieroni… mi spaventino… non mi sembrino uguali…
Di loro, di vell’altri, posso dire solamente che dalla gente
meriterebbero tanti sputi… per ave’ ridotto Viareggio a un niente…
di loro posso dire solamente che m’han levato il gusto
d’essere incazzato personalmente.
Però se fossi un Burlamacco invulnerabile e perfetto
allora non avrei paura affatto
e griderei senza ritegno che è una porcheria
e darei foco a Baracconi e perché no alla ferovia…

Ecco la differenza che c’è tra noi e le cosiddette Categorie.
Di noi posso parlare, perché so chi siamo,
perché facciamo i babaacci
Faranno schifo… ma non spavento…
Ma di fronte a chi ti sfrutta e ti fa’ firma’ de’ ffogli per non turbar nessuno
c’è solo lo sgomento…
Io che sono Burlamacco, Burlamacco incosciente,
enormemente saggio
avrei anche il coraggio di andare dritto in galera
ma vorrei dire che tutti i viareggini sanno una sega
di cosa è o dovrebbe esse il Carnevale.
Ma in fondo tutto questo è stupido perché logicamente…
Io se fossi Burlamacco, la terra la vedrei piuttosto da lontano
Stando lassù sul manifesto non ce la farei ad accalorarmi
in questo scontro quotidiano…
Io se fossi Burlamacco,
non m’interesserei di bilanci, di quattrini… e neanche di strozzini…
perché di un manifesto ti viene da pensare:
Lo faccio a pezzettini…
E allora va a finire…
che se io fossi Burlamacco, cambierei mestiere e genere
ma dopo ave’ ridotto que’ vecchi ‘bbaracconi in cenere.

Un pianoforte tace
né tasti da far danzare
né corde da far vibrare
muto il legno
vuoto il leggio.
Il sipario calato
è la palpebra chiusa
di un orfano palco.
Da dietro le quinte
del tuo Grande Gioco
hai mollato gli ormeggi
all’Ultima Vela.
Rimasta è una luce
nel nudo silenzio.
Sorriso
d’ultimo monello
ad asciugare
la nostra grande lacrima.

Passa la giovinezza
e passa la primavera
datini sotto maschere
godemisi stasera!
Il Carnevale in Darsina
è libeccio di foravia:
vestimisi col vento
sbruffo di fantasia!
E ballamoli i valzeri
e tutto vel che c’è:
spalancate le porte
un ci state a sede’!
Co’ la balla dele toppe
s’immascheramo come si pare,
vento di monte e vento di mare
canto dell’anni belli,
voce di primavera…
datini sotto maschere
godemisi stasera!

Ma mi dite un po’ una osa
Viareggini di Viareggio
(voglio di’ di là dal fosso)
che volevite sape’?
Che si fa stasera in Darsina?
O un si vedino le luce?
Che en più forte del fanale?
Questa sera è baccanale
e rimbombino per aria
canti e musiche a un fini’!
Ma un c’è solo la poesia
(da sé sola un istà ritta)
c’è anco dela robba fritta,
c’è anco ‘l lato del mangia’!
Sogliorette e gamberetti,
trigliozzine e polpi a fette
c’en per tutti un dubita’!
Biascia, schiocca, ingolla e mangia
Delo fio questa cuccagna
È già un po’ che un si rifà!
La padella induce friggino
(senti bella vest’idea)
pare l’occhio d’una dea
che è spraccato verso il ciel!
C’eno tutti! Un c’è periolo
Che ne manchi valcheduno:
è serata di raduno,
è serata di mangia’!
Bamboretti e ragazzetti,
i freddolosi co’ cappotti
le ragazze in minigonna,
la Terè co’ la su’ nonna
e le socere e le nore
a braccetto se diavole.
(Se un ci credi, va’ a vede’!).
C’è chi balla e c’è chi ride,
chi si strozza e c’è chi fischia,
chi si butta nela mischia
per anda’ a senti’ canta’.
C’è chi ni da noia la luce,
chi si gratta per le puce
(e un lo sa che un ce n’è più)
chi ni piacino icroccanti,
chi fa ride tutti quanti
con tre o quattro buffonate,
c’è chi fa la parte seria
e fa ride anco di più!
C’en canzone di ve’ tempi
E canzone d’oggigiorno,
tanto il mondo è un girotondo…
Andamo in Darsina a balla’!
Un importa di mutassi,
e di sta’ allo specchio a ore,
ma ce l’hai un popo’ di fiore?
Infarinati a Pierò!
Infarinati e vien via
Che stasera semo tutti,
velli belli e velli brutti
con il core di vent’anni,
co’ capelli abbaruffati,
le canzoni ne la testa
e coll’occhi spalancati
sulla luce dela festa
che la Darsina stasera
piglia foo…Vole brucia’!

Viva la Darsena…
Grande fucina,
piena di vita
dalla mattina,
ché i Darsenotti
son sempre in moto,
chiassosi e mobili
più del “tremoto”.
Saldano, battono,
segano, piallano,
schiacciano moccoli,
gridano o parlano;
e, insieme, ronzano
le saldatrici,
stridon le punte
perforatrici,
batte il martello
sul ferro rosso,
che animazione
di qua dal Fosso!
E così nascono
dentro ai cantieri
splendidi panfili,
navi e velieri.
Ma ciò che sorte
da quel fervore
sa di fatica,
sa di sudore!
Or tanta forza
tanta energia,
pur viene usata
nell’allegria.
Infatti, a sera,
per Carnevale
tutta la Darsena
è un Baccanale.
Tutti si affannano,
si dan da fare:
nessuno indietro
vuole restare.
Donne e fanciulle,
le Darsenotte
costumi cuciono
di giorno e notte.
I marinai
diventan cuochi
e per tre sere
sudano ai fuochi.
Allora il grande
Bati e Natino
per rinfrescarsi
buttan giù vino,
ma questo scalda,
mette calore,
quindi, altro vino
spegne il bollore.
E in questo circolo
chiuso e viziato,
vedono tondo
anche il quadrato.
Cacciucco, fritto,
polpi bolliti,
in un baleno
sono serviti.
Se per la gola
popolaresca
c’è la cucina
marinaresca,
per i palati
più delicati
ci sono cibi
sofisticati,
ché i cuochi adatti
son tanti e tanti,
tra cui primeggiano
Mimmo e il Barsanti.
Felice il popolo,
dà di ganasce
che fanno strepito
mentre si pasce
e in quello strepito,
che mai si doma,
guarda che caso,
par d’esse’ a Roma!
In questa festa
dell’allegria,
c’è schietta e vera
democrazia.
Tutti son pari,
non c’è distanza:
gomito a gomito
nell’esultanza.
A parte il tomino
nella saccoccia,
vale il gregario
quanto il capoccia,
si che quest’anno,
nel Comitato
coll’operaio
c’è lo sciograto!
C’è il Codecasa,
c’è il Giorgetti,
ci sono pure ambo
i Benetti,
c’è, inoltre, Cicci
dall’alto scafo,
che tutti gli anni
s’ingubbia a sbafo.
Gioisci, o Darsena,
ora è il tuo turno,
apriti, o splendido
fiore notturno.
A noi i pensieri,
scaccia e gli affanni,
sii bella e splendida
più degli altri anni!

È notte.
È una notte di gennaio.
Esco ancora una volta dalla tua recita, dal tuo Teatro Politeama.
Nevica: è la prima volta che nevica così a Viareggio.
La neve che scende è bianca, soffice, pura, fresca, scende lentamente senza far rumore.
Imbianca il molo, il faro, la Passeggiata, la statua del Viani,
il Teatro Politeama.
Cadendo giù anche nel mare, è lì che si discioglie lentamente come i miei ricordi più belli,
di te in un dolcissimo pianto.

È bene che sappiate o brava gente
che noi vogliamo far bella figura
Carnevale? Uno schianto oppure niente!
Per nostra gloria e vanto,
facciamo veder chi siamo.
Noi che di “cervellone” ne abbiam tanto.
Forza alle idee, ma soprattutto forza
a cacciar fuori i soldi dalla borsa.

È inutile parlar di cose belle
di maschere, di carri e luminare,
di pesce fritto e riso a catinelle,
di vino a fiumi e premi da donare.
Ognuno metta mano alla coscienza
e senza tanto indugio, lieto sia,
cominciando a seguir la retta via
di donar tanto senza chieder niente.

Noi sforneremo allora un Carnevale
più saporito dell’antico pane
e fra cent’anni narrerà un giornale
di noi… dei nostri nomi cose strane.
“Chi si ferma è perduto!”, giura un detto,
che mal si addice alla gente che siamo,
e allora tutti insieme lavoriamo
e senza alcun difetto…
diamo trionfo al nostro Carnevale,
gran festa a questo lido benedetto.

Il coriandolo è un coso impertinente
che approfitta di tutte le occasioni,
del risvolto nel fondo dei calzoni,
d’una bocca socchiusa e sorridente.

S’appiccica, s’insinua, s’introduce
anche colà dove non giunge luce
e per provar che manca di rispetto
quando ti svegli te lo ritrovi a letto.

Le anguille che risalgono il canale
senza pagare tasse od ipoteche
vorrebbero vedere il Carnevale…
È una grande ingiustizia l’esser cieche!

Si beva, si rida, si canti
E l’eco salga dalla spiaggia ai monti.
Ci si riunisca in lieta compagnia:
chi non fa il pazzo, se ne vada via!

Ritrovarci una sera a commentare
del tempo la carriera.
A ricucire
I calzini consunti dei pensieri.
È passata una vita
e sembra ieri.

Di fori ho tutti l’anni che ho passato,
di dentro, invece, un ce l’ho fatta a cresce.
Ti devo dì il segreto qual è stato, e
Voi sape’ la massima che c’esce?
Tra lo spuntar del giorno e l’ordinotte,
tra il riso e il pianto, il pane e la sassata,
la gioventù, come le scarpe rotte,
un va buttata via, ma risolata!

La Befana liscia, liscia
con le scarpe a trainanà
che ogni giorno fa la piscia
era lì un momento fa.

Primo banco della scuola
primo addio alla libertà
il Balilla messo in fila
era lì un momento fa.

Primo amore, prima cotta
primo bacio da ruba’
che fu dato alla soppiatta
era lì un momento fa.

Il cavallo arabesco
di una giostra senza età
quello vero da soldato
era lì un momento fa.

Un crepuscolo agli dei
la tradotta se ne va
la canzone “Tornerai”
era lì un momento fa.

Quel che ho avuto e quel che ho dato
quel che un ho saputo da’
il passato che ho cantato
era lì un momento fa.

Da così sei quasi donna
guarda il tempo cosa fa
o nipote la tu nonna
era lì un momento fa.

Primo nell’alba
fra sapori di sonno
sbandi la spalla forte
sopra chiaro di riva
e masturbando
palo d’arselliera
denudi le pudiche
solleticando sabbia

Spogliato sino a coscia
calchi
a ritroso
mite estro di fondo
lisando fianco
a scampolo di vela

Senti morso di ragana
di granchio
nel monotono andare
solchi la fronte
e rubi
pensieri vasti al muto dell’immenso

Risali
lento
a vellutato grigio
a prima cresta d’onda
e masticando aroma
ti abbandoni nel sole.

“Son Burlamacco.
Dove vedo coriandoli m’attacco.
Sono un tuffo nel molo
un volo di gabbiani,
un mare di pini.
Una serenatella,
una stella filante.
Festante
grande amico di Bacco;
son Burlamacco.
Bianco e rosso, semplice scanzonato
dolce e salato
come l’acqua nel fosso.
Ridendo,
metto gli scrupoli al bando.
Ultimo d’una famiglia
che non si accapiglia,
folleggio,
non indietreggio
davanti ai pensieri
più neri,
ma li trasformo a magia
in carnevalesca allegria.
Son Burlamacco
e giocando do scacco
alle tristezze del mondo.
Sono il mare in bonaccia
e quello arruffato.
La faccia
di chi inebriato impazza
per ogni strada e ogni piazza.
In punto son giunto
a venticinquanni
senza malanni.
Compio le nozze d’argento;
importante momento
nella mia storia
fatta di frivola gloria.
Seguiterò a sbarcare il lunario
facendo il giullare sul lungomare.
Oppure il dipinto
vago e distinto,
su qualche cartello pubblicitario.
Son Burlamacco
ho un sacco di liete memorie,
di mille baldorie.
Quando Bonetti mi dipinse
Pierrot sorrise
Pulcinella pianse,
preso dalla commozione.
Era nato un burlone.
È la mia festa
ed io con lazzi gai
torno con la mia favola di un’ora.
Se tu Viareggio, non mi scorderai
io cercherò di divertirti ancora”.

Viareggio
Un piccolo punto cos
sulla grande carta del mondo
Un impercettibile segno rotond
per dirti: sono qui.
Se non esistesse, quel punto
si troverebbe lo stesso? Sicuro!
Posso darvene un saggio.
Dove il mare è più tinto d’azzurro,
quella è Viareggio!
Per la gente sincera,
senza ambizioni né gloria,
voglio farvi un po’ la sua storia,
stasera.
Piccolo mondo innocente,
di piccoli fatti ricolmo;
che va da piazza dell’Olmo
al Ponte Girante.
Due stradette, tre case.
Le tartane attraccate nel fosso.
Le reti distese
nei giorni del mare un po’ mosso
tre famigline per bene.
Una chiesa.
Lampioni con l’ascetilene.
Di là da veni’ l’arioplano,
il monte Quiesa
pareva tanto lontano!
Poi giunsero i trabaccolari,
da un sabato a una domenica;
senza tanti lunari
dissero: Questa è l’America!
Le tre case divennero cento.
Si apprese a mangiare nel piatto
il padre del vecchio Ceccotto
comprò un bastimento.
La prima famiglia borghese
allarga il passetto.
Si forma il primo salotto,
per dire “Grazie!” in francese.
Un nuovo parlare sciograto
dall’oggi al domani s’impone,
però, alla Tenuta Borbone,
un nobile basco è arrivato.
Vuol dire che piacque il paesaggio,
se un giorno, privato del regno,
cercò una dimora a Viareggio
il principe di Carovigno.
Agli altri paesi s’impone,
sugli altri paesi si afferma.
Viareggio ha la prima stazione
e il primo trenino che ferma.
Senza avvedersi del giuoco
del tempo, che tutto ingrandiva,
Viareggio, men timido usciva
dal canto del fuoco.
Si spense la brace.
Si videro volti mai visti.
Scomparve l’odore di pece,
si aprirono i bagni ai turisti.
Il piccolo borgo all’antica
di tant’anni fa,
ancora la voce pudica,
ma ardisce chiamarsi città!
Città che cercò il buonumore,
in maschera viva esultando,
al mondo appassito ridando
il primitivo colore.
Immenso sorriso giocondo,
che ogni tristezza lenì,
ma sulla carta del mondo
Viareggio è un punto così.

Mi verrà dall’autunno
il giorno più bello
per andarmene via.
Mi verrà dal vento
La spinta che mi porti
Più in alto dell’aquila.
Mi verrà dal cielo
un brano d’azzardo
per la mia sepoltura.

Link utili

  • La tabella con tutte le canzoni del Carnevale di Viareggio la puoi trovare a questo link.
  • L’albo d’oro delle canzoni del Carnevale di Viareggio è riportato in questa pagina.
  • I testi dei Festival di Burlamacco li potete trovare in questa pagina.