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Gli spettacoli teatrali viareggini

Gli spettacoli teatrali viareggini

I testi delle canzoni degli spettacoli teatrali viareggini. Potete ascoltare i brani e leggere i testi qua sotto:

Toglieteci ogni festa
saltiamo la minestra
però non ci toccà la canzonetta.
Rinunceremo a Gasman
a Sordi ad Albertazzi,
ma se ci manca le’ diventiam pazzi
è come ci sparisse il mare
è come si spegnesse il sole
o come al’improvviso
si ripudiasse il carnevale.
Attore oppure spettatore
nessuna differenza c’è
anche se sono qui in scena
lo sai che sono come te.
Mi impegno la giacchetta
un mese stò a bolletta
però voglio vedè la canzonetta
in palco o in platea
in piedi o in galleria.
Mi sembra come d’esse a casa mia
un delafia detto in teatro.
Per noi val più d’un grande acuto
è come ritrovà
un vecchio amico che hai perduto.
Attore oppure spettatore
nessuna differenza c’è
e anche se sono qui in scena
lo sai che sono come te.

L’abbiamo nella rena bimba mia
è un detto o meglio una filosofia
che abbiamo qui a Viareggio
per dire come va
lo senti dì da Beppe, da Cecco da mi pa’
lo poi senti se vai a pescà l’anguille
da Tono se ni girino le palle
lo dinno lì al piazzone
al Principe un lo so
o quando un c’hai palanche
e firmi un pagherò.
Oppure in gradinata alla partita
quando il pallone in rete un vole entrà
lo dice chi ha lo sfratto
e un sa dove andà a stà
lo dice chi lo yotte non ce l’ha
la ra la la, la ra la la.
L’abbiamo nella rena è il nostro motto
perché per noi la rena vol dì tutto
vol di casa e panciotto, teatro e varietà
vol di pane e pancotto, cecina e baccalà,
e quando vedi i vecchi lì sul molo
che credi che si dinno tra di loro
e quando all’ospedale ti venghino a trovà
o quando la maestra ti vole interogà
saremo sciabigotti però è bello
avè solo la rena nel cervello,
è come avè Viareggio rinchiusa dentro lì
ma queste cose te un lè poi capì
La ra la la, la ra la la.

dal minuto 16:32 al minuto 18:26

Ci sei mai stata sui viali in passeggiata
o l’hai mai vista del corso la sfilata
o camminando verso sera lì sul molo,
ti sei mai accorta di che colore è il cielo,
hai mai aspirato il profumo del salmastro,
o hai mai assaggiato
il sapore del cacciucco,
t’è mai successo di fa un bagno al vialone
o di fa un ballo alla festa del rione,
tu avessi avuto tutte queste cose qui
io son sicuro un mi diresti mai cosi…
Come lè un ce n’è
poi girà poi cercà finche vuoi
poi indagà domandà,
ma con lè un c’è niente da fa,
ha un qualcosa sempre in più
di quello che pensi tu
se t’han detto che c’è uguale
di a lullì che un è normale
come lè un ce n’è,
un ce n’è un ce n’è un ce n’è,
e un qualcosa che un si può spiegà
è un miracolo che un si ripeterà.
Come lè un ce n’è
e un ce ne sarà!

dal minuto 8:55 al minuto 11:41

Festa del rione per noi
è quell’occasione che mai
per nessuna cosa vogliamo rinunciare
tradizione quando viene carnevale.
Quando passeremo io e te
quando sfileremo io e te
quando noi ragazze farem così
dalla gioia sento che potrei svenì,
io sarò
Fred Astaire,
io farò la Monroe,
ballerò alla Gene Kelly,
io sarò Liza Minelli,
Judy Garland
ecchele là,
Mike Roney
io so imitar,
Frank Sinatra
il gran cantante,
io sarò Jimmy Durante…
Una mascherata così
certo un gran successo otterà
questa è la felicità
É sarà applaudita all’unanimità
per le vie della città
al Varignano, alla Migliarina
al Marco Polo, in darsena toscana
ai quattro venti al piazzone o lì alla tore
al rione mare vincerà…
festa del rione per noi
è quell’occasione che mai
per nessuna cosa vogliamo rinuncià.
Questa è felicità.

Viareggio vuol dir Carnevale
è il ruolo che il mondo gli dà
nessuno lo può interpretare
col gusto di questa città,
Il cielo è il suo primo attore
dal mare la sua musica avrà
il cuore gli fa le parole
e il sole le luci gli dà…
e la canzone che canti
ti seguirà dovunque andrai,
è come un eco che senti
non ti abbandonerà mai.
Viareggio è la “star” del sorriso
ha l’occhio che dà il buonumor
non usa mai il trucco sul viso
la pelle l’ha in tecnicolor.
Viareggio quand’è carnevale
è un film in cinemascope.

Guarda un po’
che sorpresa vederti qui,
scontrosa tu,
non mi vuoi guardare mai!
Tu sei l’amore per me.
Ma se aspetti, sai,
non mi troverai mai più.

Il gioco d’amore, si sa, dura poco.
La gioia ci dà, ma passa e vola via.
Se una nuvola c’è
non sarà
grigio il cielo.
Azzurri son già i nuovi amor!

Ma perché
vuoi rubarmi anche l’anima,
perché dovrei
regalarti un po’ di me?
Sai fingere, se lo vuoi,
ma chi sbaglia, sai,
non mi troverà mai più!

No, non è un giocattolo il mio cuor!
Che tu puoi stregare quando vuoi
E con ali di farfalla
io volerò, e vestirò di colori la mia libertà!

Il gioco d’amore, si sa, dura poco.
La gioia ci dà, ma passa e vola via.
Se una nuvola c’è
non sarà
grigio il cielo.
Azzurri son già i nuovi amor!

Darsenasció, Darsenasció
ma che vol di’, non me lo chiede’ che ‘un no so
Ma che sarà? Che voglin fa’?
Io so soltanto che son matti, matti da lega’

En solo du’ scenette, un po’ raffazzonate
per divertissi e per bischereggia’
il molo, la pineta, la Fossa dell’Abate
i posti che ci garba racconta’

E quando s’incomincia a di’ male de’ lucchesi
possiamo continua’ anco per du’ mesi
e se voi fa’ l’attore, con noi poi già veni’i’
che un Delafia per bene basta di’.

Darsenasció, Darsenasció
ma che vol di’, non me lo chiede che ‘un no so.
Ma che sarà? Che voglin fa’?
Io so soltanto che son matti, matti da lega’

Eccolo lì un attore, accanto c’è i’ regista
mi sembra il mi’ cugino quello là
perché è lì ‘n platea, che c’è il protagonista
che ride, lì davanti c’è tu pa’

Sarà la luce in faccia o tutta questa gente
ma son di fori e non capisco niente
ti posso di’, soltanto, che nel mi’ cuore sento
che per la vita io Viareggio avrò. (ah ah)

Ti posso di’, soltanto, che nel mi’ cuore sento…
che dentro, per sempre, Viareggio avrò
Darsenasció, Darsenasció, Darsenasció…Dar-se-na-sció.

Levo la mattina e la sera
il pattume che a chili
il bagnante mi lascia qua e là,
anche un po’ di lavarone
che mi garba un fottio,
ma il bagnante non vuole guardar.

Sudo quando chiudo l’ombrello
e da solo rastrello,
questa spiaggia sognare mi fa,
godo quando viene la sera,
con il tramonto del sole
su questa città.

Levo la mattina e la sera
il pattume che a chili
il bagnante mi lascia qua e là,
anche un po’ di lavarone
che mi garba un fottio,
ma il bagnante non vuole guardar.

Sudo quando chiudo l’ombrello
e da solo rastrello,
questa spiaggia sognare mi fa,
godo quando viene la sera,
con il tramonto del sole
su questa città.

La nostra Lucca non la devi tocca’.
La nostra Lucca non la devi tocca’.
È la città più bella e più pulita
e non la trovi in tutto il mondo, lo sai,
una città più linda e profumata.
È così bella che ti leva il fiato, sai,
è proprio bella che te ne accorgerai,
proprio così,
proprio così,
venghino da tutto il mondo qui per visitarla.

Ma rifatevi il monte
e tornate pure di là.
Ma rifatevi il monte,
tornate là!
Ma rifatevi il monte,
vorei sape’ che ci fate qua,
che ci fate a Viareggio
vorei sape’.
E tornate di là
ma qui che ci venite a fa’,
che ci fate a Viareggio (voi)
…Non…Lo…So.

La nostra Lucca non la devi tocca’.
La nostra Lucca non la devi tocca’.
È la città più bella e più pulita
e non la trovi in tutto il mondo, lo sai,
una città più linda e profumata.
È così bella che ti leva il fiato, sai,
è proprio bella che te ne accorgerai,
proprio così,
proprio così,
venghino da tutto il mondo qui per visitarla.

Ma rifatevi il monte
e tornate pure di là.
Ma rifatevi il monte,
tornate là!
Ma rifatevi il monte,
vorei sape’ che ci fate qua,
che ci fate a Viareggio
vorei sape’.
E tornate di là
ma qui che ci venite a fa’,
che ci fate a Viareggio (voi)
…Non…Lo…So.

Ti concino la casa
Come un cassonetto e poi
Sei costretto a dargli udienza
Prima di andare a dormi’
Il rubinetto è rotto
E la lampadina un va
‘Un li trovi mai contenti
Sempre li a bugnare
E anche se son ricconi
“Uscite da’ coglioni!”
Ti vien fatto di di’
Fila via lontano da qui
Ne ho abbastanza
Delle tu’ gheghe
M’hai fatto ‘ngrulli’.

Bagnanti come la rena
Oddio che pena, che incubo
No non ne posso già più
Bagnanti come la rena
Se te riaffitti ti giuro che
Scapperò insieme a Picciù
Ma basta, si cambia storia
E da quest’anno prometto che
Non si riaffitterà più
Piuttosto a letto senza cena
E niente TV
Mi basta di non vedelli più

Bagnanti come la rena
Oddio che pena, che incubo
No non ne posso già più
Bagnanti come la rena
Se te riaffitti ti giuro che
Scapperò insieme a Picciù
Ma basta, si cambia storia
E da quest’anno ti giuro che
Non si riaffitterà più
Piuttosto a letto senza cena
E niente TV
Mi basta di non vedelli più

Ti venghino a discore
Anco di trafico e di smog
E ni devi dare udienza
Ma li sfideresti a boxe
Bongiomo la mattina
Bonanotte, prego, ibbò
E po’ devi fa’l carino
E li voresti sfotte
E anche se son ricconi
“Uscite da’ coglion!”
Ti vien fatto di di’
Fila via lontano da qui
Ne ho abbastanza
Delle tu’ gheghe
M’hai fatto ‘ngrulli’

Bagnanti come la rena
Oddio che pena, che incubo
No non ne posso già più
Bagnanti come la rena
Se te riaffitti ti giuro che
Scapperò insieme a Picciù
Ma basta, si cambia storia
E da quest’anno ti giuro che
Non si riaffitterà più
Piuttosto a letto senza cena
E niente TV
Mi basta di non vedelli più

Bagnanti come la rena
Oddio che pena, che incubo
No non ne posso già più
Bagnanti come la rena
Se te riaffitti ti giuro che
Scapperò insieme a Picciù
Ma basta, si cambia storia
E da quest’anno ti giuro che
Non si riaffitterà più
Piuttosto a letto senza cena
E niente TV
Mi basta di non vedelli più

Caro Terenzio, la vita è un tormento di qua e di là
Guarda po po’ di problemi per starsene all’aldilà
Volevo un bel posticino pe’ fammi veni a trova’
Ma delafia, solo quando è il momento bono!

Bella mi’ Rò, che son vecchio lo so
Ma io lì ‘un ci vò
Possin veni anco in cinquanta
Ma lì proprio no

A me mi sembra un po’ presto
Guarda che prillo che sono
Digli a lu’ qui che in quel posto ci pole anda’ lu’
A me mi sembra un po’ presto
Guarda che prillo che sono
Digli a lu’ qui che in quel posto ci pole anda’ lu’

Caro Terenzio, che razza di scotto alla nostra età!
T’offrino il posto anco co’ l’ascensore ma un poi aspetta’
Neanco ti danno un momento, ti voglin già dentro là
Che sanguisughe, ti succhin le vene a forza

Bella mi’ Rò, io di dubbi ‘un ne ho
No io non firmerò
Che pe’ mori’ è vero
Mi ero già iscritto sì

Ma di vola’ al cimitero
Mica dicevo davvero
Digli a lu’ qui che in quel posto ci pole anda’ lu’
Ma di vola’ al cimitero
Mica dicevo davvero
Digli a lu’ qui che in quel posto ci pole anda’ lu’

Noi siamo i Baroni
Abbiamo un tocco di nobiltà
Siamo atipici
Ma simpatici
Noi siamo i Baroni
Viviamo tutta un’altra realtà
Siamo unici
E fantastici

Contiamo i milioni
Facciamo grandi acquisti
E per noi
Os-tri-che per cena
Caviale a go-go
Noi siamo la crema
Godiamo di rispetto e lealtà
Cultura, e-leganza e notorietà

Noi siamo i Baroni
Giriamo per di qua e per di là
Ma se siamo qui
Un motivo c’è
Noi siamo i Baroni
E abbiamo più palanche del Re Potevamo anda’
Anche a Saint Tropez

Ma siamo venuti
Per stare in vacanza a Viareggio
S’andav’anche in Sardegna
Però siamo qui
Macché Portofino
Vogliamo stare a Viareggio
Ci siamo innamorati
Di questa città

Macché Portofino
Vogliamo stare a Viareggio
Ci siamo innamorati
Di questa città

Pensa un po’ a Viareggio
Luogo incantato
Con la Passeggiata
Con il Mercato…
C’è chi la racconta
E chi la disegna
Chi la rappresenta
E chi la sogna.
Scivola il sipario
Vola una nota in Do
Escono gli attori
Parte lo show.

Senti, senti canticchiare qua e là:
“Questa è Viareggio, dolce canzone”
E non resisti più all’emozione.
Senti, senti c’è il Maestro che fa:
“Vi presentiamo il nostro Darsenasció!”

Metti un motivetto
Che fa sognare
E una bella storia
Da raccontare.
Prendi le battute
Le più sincere
Quelle più acclamate
Quelle più vere.
Scivola il sipario
Vola una nota in Do
Escono gli attori
Parte lo show.

Senti, senti canticchiare qua e là:
“Questa è Viareggio, dolce canzone”
E non resisti più all’emozione.
Senti, senti c’è il Maestro che fa:
“Eccoci qua, la sala è già piena.
Pronti al mio via si va tutti in scena”

Senti, senti il Maestro che fa:
“Ha inizio adesso il nostro Darsena- ha inizio adesso il nostro Darsena- Ha inizio adesso il nostro Darsenasció!”

Guarda che vecchietta
lei corre e fa
anche da mangia’.
Gira in bicicletta
da sola
tutta la città,
pare una bimbetta
chi la fermerà,
chi la fermerà.

Poi una lettera arriverà!

Beppa, signora Beppa
da questo istante
Lei contessa sarà!
Beppa, Beppa Biancanicchia
ora è nella lista
della nobiltà.
Pronta ad affitta’
proprio queste mura.
Qui di palanche non ce n’è,
‘un ci resta che aspetta’
che i baroni venghino qua.

Guarda la nonnetta,
lei viene e va
nonostante l’età.
Guarda poveretta
che cosa,
che cosa farà.
Sfoggia l’etichetta
ma non sa la realtà,
ma non sa la realtà

Poi una lettera arriverà!

Beppa, signora Beppa
da questo istante
Lei contessa sarà!
Beppa, Beppa Biancanicchia
ora è nella lista

Guarda che vecchietta,
lei corre e fa…

Poi una lettera arriverà

Guarda la nonnetta,
lei viene e va….

Poi una lettera arriverà !

C’ho la soluzione
Guarda che organizzazione
Sono un genio, eccomi qua!
Ni facciamo crede
Che contessa è sempre stata
E di alta nobiltà…
E di alta nobiltà

Quale soluzione
Sei la mia disperazione
Ora dimmi cosa c’è
Che cos’hai inventato
Cosa avresti escogitato
Qui di nobili un ce n’è
Qui di nobili un ce n’è

Prendi carta e penna
Che c’abbiamo da inventa’
Di come far rimbischerire
La befana di tu ma’
Bastin du’ parole
Messe a modo
Messe bene
E vedrai ci cascherà
E vedrai ci cascherà

O Marì che idea che è questa vì
Vammi a chiama’ tu ma’ di là
O Marì ‘un ci sta a sede lì
Che Biancanicchia diverrà
E chissà come la prenderà
Secondo me vedrai ci cascherà
E allora scrivi e via
Scrivi delafia!
Non pensarci su
Non pensarci più

Sono eccezionale
Sono da telegiornale
Sono un genio, eccomi qua!
Basta che un s’accorga
Che la lettera è fasulla
Sennò tutto salterà
Sennò tutto salterà

Prendi carta e penna
Che c’abbiamo da inventa’
Di come far rimbischerire
La befana di tu ma’
Bastin du’ parole
Messe a modo
Messe bene
E vedrai ci cascherà
E vedrai ci cascherà

O Marì che idea che è questa vì
Vammi a chiama’ tu ma’ di là
O Marì ‘un ci sta a sede lì
Che Biancanicchia diverrà
E chissà come la prenderà
Secondo me vedrai ci cascherà
E allora scrivi e via
Scrivi delafia!
Non pensarci su
Non pensarci più

O Marì che idea che è questa vì
Vammi a chiama’ tu ma’ di là
O Marì ‘un ci sta a sede lì
Che Biancanicchia diverrà
E chissà come la prenderà
Secondo me vedrai ci cascherà
E allora scrivi e via
Scrivi delafia!
Non pensarci su
Non pensarci più

Mi riempio le giornate come posso
ma a volte mi tirerei in un fosso.
La bella mi’ Viareggio ormai è cambiata
e ‘un mi ci trovo più…
Mi prende il ghiozzo e un po’ di tremarella
se penso spesso a quella passerella
e ‘un c’è rimedio o pillola che tenga…
A me mi fa aonca’!!!
Persino a fa’ lo struscio in Passeggiata
ti devi prepara’ a ‘na sgomitata,
tra bici che ti treppino e ambulanti…
‘Un se ne pole più!!!

Mi prende il ghiozzo e un po’ di tremarella
se penso spesso a quella passerella
e ‘un c’è rimedio o pillola che tenga…
A me mi fa aonca’!
A me mi fa aonca’!!!

Non c’ho ‘na lira in tasca, come faccio a comincia’?
Son tanti l’aiutanti che poi devi paga’.
Son pieno di cambiali come tutti i carnevali,
mi poi trova’ alla banca, mentre firmo un pagherò.
La voglia è troppo forte, cominciamo e si vedrà
e l’atmosfera è giusta, forza Beppe Hip Hip Hurrà.
Facciamo una gran festa, urla forti e battimani,
vedrai quest’anno Beppe vincerà!!!
Con un piccolo ritocco dato qua e là,
manca solo il soffio dell’artista ed ecco qua.

E al colpo del cannone già mi vince l’emozione,
che bel carro h a fatto Beppe, chissà dove arriverà.
Sei proprio un grande artista, questa è un’opera mai vista,
di sicuro il primo premio tocca a te…

Comincio di settembre come un miccio a lavora’,
imposto i movimenti, ora c’è da modella’.
Lo vedo nella testa, me lo sento nelle mani,
un colpo di pennello e poi si va.
Con un piccolo ritocco dato qua e là,
manca solo il soffio dell’artista ed ecco qua.

E al colpo del cannone già mi vince l’emozione,
che bel carro h a fatto Beppe, chissà dove arriverà.
Sei proprio un grande artista, questa è un’opera mai vista,
di sicuro il primo premio tocca a te…

E invece anche quest’anno, come al solito mi danno
solo il sesto…Beppe un te la prende’!!!

Dimmi come mai mi sembrin belli
ma non vinco mai…
O Tofanelli, dimmi come mai mi sembrin belli
ma non vinco mai, mi voglio ritira’.

Il sole in cielo splende di più
e il mare luccica di stelle.
Se non ci credi vieni quaggiù,
dove il mare le montagne tinge di blu.

Sento che in tutto il mondo, no, non c’è
un posto che è più bello di Viareggio.
Ho visto Londra, Parigi, Monaco e New York
ma non c’è niente meglio di Viareggio.

La Viareggio delle meraviglie,
che sogno.
La Viareggio delle meraviglie.
Giro per di qua,
giro per di là,
dalla Darsena al Mercato
e fino lì sul mar.
Guardo il molo e qui
diamo inizio alla poesia,
ma di posti come questo non ce n’è.

Il sole in cielo splende di più
e il mare luccica di stelle.
Se non ci credi vieni quaggiù,
dove il mare le montagne tinge di blu.

Yex,
dire con un nox,
fare con un six,
basta non si svegli che
lei non ci sta
e la casa venderà
a una sola condizione
che nessuno accetterà.
E poi,
ma che storia è,
co’ nepoti che
vogliono convincermi
su, Nonna dai,
se la casa vendi te
apriremo un ristorante
con l’orchestra e il sommelier.

Basta che ‘un la compri uno di Lucca
che sennò ci resto secca.
Io l’ho aschifi da mori’.
E anche se lo so d’un esse’ ricca,
basta che ‘un siino di Lucca
che ‘un li posso sopporta’.

Dai,
vieni, firma qua
senza troppi ma,
l’occasione è splendida.
Io dico no
ché a Viareggio non si può,
a chi viene giù dal monte
la mi’ casa ‘un ne la do!

Basta che ‘un la compri uno di Lucca
che sennò ci resto secca.
Io l’ho aschifi da mori’.
E anche se lo so d’un esse’ ricca,
basta che ‘un siino di Lucca
che ‘un li posso sopporta’.

La mi’ casa tanto ‘un ne la do.
La su’ casa tanto ‘un ne la da.
La mi’ casa tanto ‘un ne la do.
La su’ casa tanto ‘un ne la da.
BASTA CHE ‘UN SIINO DI LUCCA!!!

Lucca non ci provare,
la Bretellina ‘un si po’ fa’.
Lucca non t’azzardare,
quell’ecomostro è da sposta’.
A Carnevale devi pagare
se vuoi vedere il Carneval,
sennò in Via Fillungo
c’hai da resta’.

Ma pensa te,
come se questo non bastasse,
fra trattenute, multe e tasse
a Lucca voglino fa’ l’Asse.
Ma butta giù
quest’Asse di Penetrazione, perché
al di là del monte c’avrai le palanche
ma questo salmastro te ‘un ce l’hai.
Qui c’è tanta rena, c’è tanta ignoranza,
ma col viareggino ‘un ce la fai.

Ma pensa te,
come se questo non bastasse,
fra trattenute, multe e tasse
a Lucca voglino fa’ l’Asse.
Ma butta giù
quest’Asse di Penetrazione, perché
al di là del monte c’avrai le palanche
ma questo salmastro te ‘un ce l’hai.
Qui c’è tanta rena, c’è tanta ignoranza,
ma col viareggino…Ma col viareggino…
Ma col viareggino ‘un ce la fai.

Qui c’è tanta rena, c’è tanta ignoranza,
ma col viareggino ‘un ce la fai.
Qui c’è tanta rena, c’è tanta ignoranza,
ma col viareggino ‘un ce la fai.

Il cielo è triste, si è oscurato
Il cielo è triste, si è oscurato
Oddio Burlamacco se n’è andato
Oddio Burlamacco se n’è andato
C’erano coriandoli e fantasia
C’erano coriandoli e fantasia
Delafia ‘un mi di’ che l’han portato via

I lucchesi son gelosi
Per il nostro Carnevale
Odio e invidia
Ma poi gli va sempre male
Burlamacco è il nostro re
E noi siamo i moschettieri
Lucca e Cento
Non ci avranno prigionieri

Il cielo è triste, si è oscurato
Il cielo è triste, si è oscurato
Oddio Burlamacco se n’è andato
Oddio Burlamacco se n’è andato
C’erano coriandoli e fantasia
C’erano coriandoli e fantasia
Delafia ‘un mi di’ che l’han portato via

Lungo il molo ci abbracciamo
E il salmastro respiriamo
Perché Viareggio
Tu sai farti amare
Dentro i tuoi tramonti mi perdo
E non riesco a trattenermi
Oggi però
C’è un fatto eccezionale

Il cielo è triste, si è oscurato
Il cielo è triste, si è oscurato
Oddio Burlamacco se n’è andato
Oddio Burlamacco se n’è andato
C’erano coriandoli e fantasia
C’erano coriandoli e fantasia
Delafia ‘un mi di’ che l’han portato via

Carri e maschere festose
Sono vera libertà
Che solo Viareggio
Ti regalerà
Ma i lucchesi l’han sciupata
E si son portati via
Quella statua
E la sua fantasia

Il cielo è triste, si è oscurato
Il cielo è triste, si è oscurato
Oddio Burlamacco se n’è andato
Oddio Burlamacco se n’è andato
C’erano coriandoli e fantasia
C’erano coriandoli e fantasia
Delafia ‘un mi di’ che l’han portato via
Il cielo è triste, si è oscurato
Il cielo è triste, si è oscurato
Oddio Burlamacco se n’è andato
Oddio Burlamacco se n’è andato
C’erano coriandoli e fantasia
C’erano coriandoli e fantasia
Delafia ‘un mi di’ che l’han portato via

Che voglin fa’,
che piazza grande,
è tutta in fermento, sgobbino a sfa’.
‘Un mi di’ che c’hanno un’idea
che in Comune han preso la via,
tutta colpa della Brunetta-Caco-Fobia.
Come si fa
a rovina’ la nostra Viareggio,
come si fa?
C’è chi dice ‘un è colpa sua
se Viareggio è tutta ‘na bua
ma il Comune afferma
“Tranquilli abbiamo un’idea!”

Dal porto la rena del tutto sparirà
e barche all’ormeggio per di qua e di là,
cantieri, bagnanti e palanche a refe nero.
Che voglin fa’, ‘un si voranno davero frega’? (Ah ah)
Che voglin fa’, ‘un si voranno davero frega’?

Come si fa,
già, come si fa
a ‘un ridini in faccia, come si fa?
‘Un mi di’ che c’hanno un’idea
che in Comune han preso la via,
tutta colpa della Brunetta-Caco-Fobia.

Pare che l’idea sia solo il frutto
di una vera genialità,
prova della nostra generosità.
Dare a Lucca il porto che invenzione,
che fantastica assurdità.
Che voglin fa’, ‘un si voranno davero frega’? (Ah ah)
Che voglin fa’, ‘un si voranno davero frega’?

Dal porto la rena del tutto sparirà
e barche all’ormeggio per di qua e di là,
cantieri, bagnanti e palanche a refe nero.
Che voglin fa’, ‘un si voranno davero frega’? (Ah ah)
Che voglin fa’, ‘un si voranno davero frega’? (Ah ah)
Che voglin fa’, ‘un si voranno davero frega’?

Eccoli vì
Al Tabarracci
Semo nati, ma qui
Ci hanno divisi e così
È stato semplice
Nasconderci la verità
Certo però
La situazione
È stata triste, lo so
Tu eri a Milano, in metrò
Mentre io, al massimo
Tornavo sbronzo dal CRO

Semo di vì
Lo puoi di’ forte perché
Semo a Viareggio
Sole e mare, regna il Libeccio
E un tramonto uguale non c’è

Noi così
Due gemelli
Eravamo du’ gemelli al CRO
E Viareggio nella mente
Noi così
La stessa casa
La stessa famiglia che strano però
Eravamo du’ gemelli al CRO

Semo di vì
Mi brillano gli occhi
Se ci penso e lo sai
È stato meglio così
Quindi da ora in poi
Lascio Milano e lo smog
E resto qui
Lascio San Siro
Il Duomo, è andata così
Resto a Viareggio perché
Il molo è bellissimo
È vivo dentro di me

Semo di vì
Lo puoi di’ forte perché
Semo a Viareggio
Sole e mare, regna il Libeccio
E un tramonto uguale non c’è

Noi così
Due gemelli
Eravamo du’ gemelli al CRO
E Viareggio nella mente
Noi così
La stessa casa
La stessa famiglia che strano però
Eravamo du’ gemelli al CRO

Noi così
Due gemelli
Eravamo du’ gemelli al CRO
E Viareggio nella mente
Noi così
La stessa casa
La stessa famiglia che strano però
Eravamo du’ gemelli al CRO

Il carnevale,
è quel gran matto,
che se ti piglia lascia il segno dappertutto.
Fa conto sia, una malattia,
e per la vita un ce la fai a mandallo via.
T’entra nel sangue e nelle vene
e stai sicuro che ti fa bene.
È un’iniezione di simpatia
in questo mondo che ha bisogno d’allegria
ci poi contà a tutte l’ore
in quei momenti quando sei di malumore.
T’apre le braccia con un sorriso
e non gli importa di come hai il viso.
Il carnevale,
un ni da retta
a chi t’ha detto che è soltanto una macchietta
si fa col cuore e col cervello
e quel che brutto Lù fa bello
ma per avello devi veni qui.
ma per avello devi veni qui!

Basta scende’ il Cavalcavia
sentì dì delafia
e il resto vien da sé

Lascia perdere l’etichetta
ti giri la giacchetta
eppò danni Terè

L’importante che tu abbia dentro
quel nostro sentimento
che non si può comprà
ci si nasce da bamboretti
ce lo lascino i vecchi
come un’eredità.

Un coriandolo, un pizzicotto
una sbornia vicino al fosso
un ballo con quella là
è il nostro Carneval, il nostro Carneval!

Senza avvisa’ nessuno
un giorno ci hai lasciato
ma piglieresti un granchio
a dì che t’ho scordato
amico mio, Picciù

Viareggio ti vuol bene
e parla ancor di te
lo sento nei caffè!

Non ho più visto un aquilone volare
sul mare
lo sai che un ni fan più
da quando un ci sei tu

Con quanta nostalgia ti pensa la mia zia
e te un’ ci crederesti
ma i bamboretti stessi sanno di te

Picciù!
Ormai sei nella storia di questa tua città
l’ha detto anche mi’ pà.
T’immaginiamo come un bianco aquilone
nel cielo
perché se il cielo c’è
ci va la gente come te….

Senza avvisa’ nessuno un giorno ci hai lasciato
ma piglieresti un granchio a dì che t’ho scordato
mi manchi sai Picciù
perché hai portato via con te
quella Viareggio che garbava a me!

Senza avvisa’ nessuno un giorno ci hai lasciato
ma piglieresti un granchio a dì che t’ho scordato
mi manchi sai Picciù.

Viareggio ti vuol bene
e parla ancor di te
lo sento nei caffè!
T’immaginiamo come un bianco aquilone
nel cielo
perché se il cielo c’è
ci va la gente come te…

Senza avvisa’ nessuno un giorno ci hai lasciato
ma piglieresti un granchio a dì che t’ho scordato
mi manchi sai Picciù
perché hai portato via con te
quella Viareggio che garbava a me!

Picciù, Picciù
a me, Picciù…

Solo tu viareggino poi cambià
il destino di questa tù città;
non capisci che solamente tu
poi ridargli quel che ora non ha più.
Lascia stà ogni lite ed ambizione
metti il cuore e la testa in ogni azione
e così lè ritornerà
quella perla che era tempo fa.
Si lo so il blasone ora è un po’ giù
ma a rialzarlo non puoi che essere tu,
se t’impegni vedrai che ce la fai
altrimenti che salmastroso sei.
Solo tu viareggino, se lo vuoi
tornerà miliardaria questa tua città.

Viareggio e carnevale
è l’alimentazione
se vuoi vedè tuo figlio
forte come un leone
pineta di ponente, pineta di levante
e dopo quattro mesi vedrai sarà un gigante
un soffio di libeccio
due passi in cima al molo
è come tu li dessi
tre chili di tritolo
e dinni in un orecchio
che se c’ha donne bone
un stia a fa’ de discorsi
le porti al vialone.
Questa medicina
grande lo farà
ce l’ha data il cielo
in esclusività
Viareggio e carnevale
per fallo sano e bello
un fusto di ragazzo
però tutto cervello
col fosforo di triglia
un ti meraviglià
se diverrà docente
all’università
Viareggio e carnevale
a lù ni devi da’
e quando sarà grande ti ringrazierà
e quando sarà grande ti ringrazierà.

Non c’è cosa più gustosa sulla terra
che avè in bocca te, mia cara anguilla cea
il buon Dio quel giorno volle generà
certo il meglio della culinarietà.
Di Viareggio sei la celebrità anguilla cea
sei la mia dea
sei la più sexy di
tutti i pesci.
Quando passeggi lungo il canale
con quel to’ corpo dolce e sottile
dell’eleganza tu sei la regina
sei più eccitante di Marilina.
Perciò ogni notte io sono qui
a piglià il fresco per un tuo si
anguilla cea mi fai impazzi!

Per campa’ mi accontento
di tre nicchi
una briscola, un tressette
e du’ necci per dessert
Posso sta’ senza beve
un doppio whisky
e il caviale ed il patè
io te li regalo a te

Ma un mi leva’ quattro passi sul molo
con il Maccioni che parla da solo
come vivrei senza vede’ la Zoria
Son certo che io morirei di nostalgia
e un mi sgrida’ se non sto per benino
voglio grida’ quando passa Moschino
lasciami sta’ quando lo sai mi piglia il male
e anco d’Agosto io voglio fa’ Carnevale

E qui a Viareggio siam tutti così
forse dipende dall’aria di qui:
guai se mi tocchi il mio sabbiodotto
che non funziona perché è nato rotto
e la Salov profuma per me
anco di più del miglior Chanel
Ora hai capito, ora sai perché
abbiamo perso la testa per te

Extraviareggino
tu diventerai superviareggino insieme a noi
anche se tu sei
un po’ collegiale.
lo ti sveglierò con il Carnevale.
Innamorato di Viareggio
come un cretino
dovrai gridare a tutto il mondo
son superviareggino…ino, ino
extraviareggino
io lo sento già
che il salmastro in te
sta per entrà.

Notte, d’anguille cee
gente, che viene e va
freddo dentro le vene
ma grande felicità.
Sembra la passeggiata
il molo visto così
luci di acetilene
il fosso fanno più kitsch
la luna si specchia in mare
al passo delle lampare
e un canto di carnevale.
Si sente per la città…
cielo resta sereno
stelle state a guardare
non vi perdete il massimo
che un occhio può ammirar.

Viareggio è fatta per gli innamorati
perché dal cielo è caduta qui.
E come una cometa tutta baci
ma non si spengerà neanco a morì.
Vedella e come dì ti voglio bene
e per la vita non ti lascio più.
Ti prende il cuore t’entra nelle vene
perché all’amore le ni dà del tu
è tanto dolce in ogni sua espressione
e l’allegria è nata insieme a lè.
Ogni panchina canta una canzone
ogni cespuglio è una carçonniere
Viareggio è fatta per volessi bene
nelle sue labbra c’è soltanto il sì
perciò quando un amore è nato qui
dura tutta la vita, un po’ finì.

Quando uno è innamorato come lo sono io
e sempre un po’ geloso dell’amore suo
e diventa anche cattivo
ed io faccio anche peggio
perché sono stracotto
di tutto quello che c’è qui a Viareggio…
Per un camuciolo nel vialone
faccio a cazzotti fino a motrone
davanti a un platano di piazza grande
io mi commuovo in su l’istante
una pinella della lecciona
la tengo cara come un diploma
e nelle foglie de giardinetti
io ci ripongo tutti i mì affetti
perché Viareggino vale per me
tutte le cose che voglio avè.
Co un piscialletto del Terminetto
io ci rinnovo il doppio petto
per me discende il cavalcavia
e come vince la lotteria,
se vado a piedi al Varignano
e come fossi in aereoplano,
se pesco un granchio di dentro il fosso
dall’emozione mi caco sotto
perché Viareggino vale per me
tutte le cose che voglio avè.
Un mi dì male del carnevale
son permaloso ci resto male
un buttà carta in passeggiata
se no s’ammazza la mì cognata,
se non voi fare brutte figure
ama la piazza delle paure
ricorda sempre se vai sul molo
che in tutto il mondo ce n’è uno solo
perché Viareggino resta per me
il non plus ultra che poi vedè
se comandassi questa città
io per vedella farei pagà.

Cielo…mare…stelle…luna
si danno appuntamento solo qui
nessuna notte poi vedè così!
Amore mio no, non è un miraggio
son cose che poi avè solo a Viareggio…
Vieni… guarda… senti… sogna
ti porterà con se una melodia
nel dolce mondo della fantasia
ma se ti svegli nulla cambierà
perché tu stai sognando la realtà
è un quadro quello che hai davanti a te,
avanti vieni e posaci con me.

Viareggio è un grande hotel,
aperto tutto l’anno
t’aspetta a carnevale
o quando voi fa il bagno.
Perché la sua stagione.
Mai fine non avrà
soltanto lei lo sai
può dar felicità..
La sua piscina è il mare,
pinete per giardino
la sabbia è la moquette
e il lift lo fa il bagnino,
la sua grande terrazza
si chiama passeggiata
è questa la città
che a te viene donata
Viareggio è un grand’hotel
Viareggio è un grand’hotel
che aspetta solo te.

Fu messa al bando,
ma strada facendo
fra i mille pini di questa città
la professione più antica del mondo
ha ritrovato la sua dignità.
A tutte l’ore
fra i pruni e le more
per poche lire e per tutte l’età
son disponibili quelle signore
per fare un piacere
a chi amore non ha.

Le donnine dei tigli
non son candidi gigli
né bambine che colgono fior.
Son la finta passione,
la breve emozione
che nasce, t’illude e poi muor.
Senza impegni di cuore
son quelle signore
che vedon l’amore anche se
quell’amore fra i tigli
sembra amore, ma amore non è.

La Gabriella, la napoletana,
la siciliana di Canicattì,
la Nannarella di Porta Pinciana
e un’algerina di nome Mary.
Bocche di rosa, ma è certo Beatrice
la più che piace, perché è di Forlì,
ma non è certo felice Beatrice
per colpa si dice
dell’austerity.

Le donnine dei tigli
non son candidi gigli
né bambine che colgono fior.
Son la finta passione,
la breve emozione
che nasce, t’illude e poi muor.
Senza impegni di cuore
son quelle signore
che vedon l’amore anche se
quell’amore fra i tigli
sembra amore, ma amore non è.

O mamma, o mamma! gridava Evaristo
laggiù nascosto ho intravisto papà.
Non lo contesto, ma proprio in quel posto
Così nascosto che cosa ci fa.
Mille i misteri del sesso, più cento
nessuno al mondo scoprirli saprà,
si vede, oh bimbo, che a babbo ogni tanto
un letto soltanto
non gli basterà.

Le donnine dei tigli
non son candidi gigli
né bambine che colgono fior.
Son la finta passione,
la breve emozione
che nasce, t’illude e poi muor.
Senza impegni di cuore
son quelle signore
che vedon l’amore anche se
quell’amore fra i tigli
sembra amore, ma amore non è.

Fatta di legno asciutto dal ’48 al ’93,
c’era a Viareggio tutto lo stesso aspetto che aveva il west,
c’era un salone matto gremito e fitto fino alle tre,
micci e cavalli al trotto, le mosche a pietto come nel west,
fornello a carbonella, la pasta frolla, la panzanè,
il sugo dell’angluilla, farina gialla la mesti te,
i crampi alle budella, Marianna bella, devi sapè,
‘un’erin salmonella, ma cacarella come nel west…

Yuppe di vì, yuppe di là,
sai cosa faccio, allungo un braccio
e prendo al laccio un’altra età…
Yuppe di vì, yuppe di là,
monto a cavallo e tiro in ballo la mia città.

Il ceneraccio, il neccio, la menta, il ciuccio per il bebè,
il ricciolo a capriccio, la grosta, il moccio, l’aringa in tre,
il piede sul baroccio, si va allo spaccio di Caccarè,
quel vecchio seccariccio col culo diaccio come nel west.
Del medico Stringari, di velli veri, si dice che
per tutti i su’ piaceri facesse pari con un caffè…
Fistole e raffreddori, malanni vari, ma che cascè!
anche ne’ mali seri solo i cristeri come nel west.

Yuppe di vì, yuppe di là,
sai cosa faccio, allungo un braccio
e prendo al laccio un’altra età…
Yuppe di vì, yuppe di là,
monto a cavallo e tiro in ballo la mia città.

Dpo le febbri gialle prese alla Antille, Meo di Garè
campava sulle spalle di zi’ Mandolle, di zi’ Terè,
avvolto in uno scialle stava in panciolle fori a sedè,
grattandosi la pelle sotto le palle come nel west!
C’era un budello solo, la dava a calo sul canapè
che per un atto impuro chiedeva l’oro come nel west,
Nestore il barcaiolo che amava il pelo così com’è,
ci rimediò lo scolo, guarì da solo, come nel west.

Yuppe di vì, yuppe di là,
sai cosa faccio, allungo un braccio
e prendo al laccio un’altra età…
Yuppe di vì, yuppe di là,
monto a cavallo e tiro in ballo la mia città.

Tornavano di sera dalla brughiera come nel west
i tori di Beghera, la vacca nera di Patanè,
la diligenza chiara con sonagliere, è passata l’è
Viareggio empito s’era di ciotte in tera come nel west.
In capo la bombetta, la vita stretta sotto il gilè,
le scarpe di vacchetta, la camicetta come nel west,
la giga, la gavotta ballata in fretta sopra il palchè
ed un fottio di potta, magari ritta come nel west.

Yuppe di vì, yuppe di là,
sai cosa faccio, allungo un braccio
e prendo al laccio un’altra età…
Yuppe di vì, yuppe di là,
monto a cavallo e tiro in ballo la mia città.

Cerchi ogni giorno un’altra dimensione,
hai una siringa nella vena blu,
hai emarginato l’ultimo istrione
da che i ricordi non ti servon più…
Vecchio artigiano della fantasia,
chiudo la bottega demodé,
non trovo più clienti alla poesia,
ma soprattutto non ritrovo te.

Addio,
già tante volte amore mio
ti ho detto addio…
Addio, ma questa volta
è proprio l’ultima perché…
sulla tastiera discende la sera
e più storia non c’è…
Senza rimpianto è finito il racconto
che ho scritto per te…
Addio, ma nel mio cuor
rimani ancor, amore mio.

La maschera deposta d’istrione,
deposta ogni illusione, ogni ansietà,
salgo così sull’ultimo vagone
di un treno che mai più ritornerà…
e a te che feci donna, per magia
schiudo le porte della libertà,
sul calendario della vita mia
è giunto il giorno della verità…

Addio,
già tante volte amore mio
ti ho detto addio…
Addio, ma questa volta
è proprio l’ultima perché…
sulla tastiera discende la sera
e più storia non c’è…
Senza rimpianto è finito il racconto
che ho scritto per te…
Addio, ma nel mio cuor
rimani ancor, amore mio.

Se ho affittato?
Eh, e di’ c’ho affittato benino è di’ pogo;
te guardimi ne le sembianze gioiose
e po’ datti a la fantasia più disfrenata.
Oh Tere?, una mandata di comparita come guest’anno
un si vedeva dalla calata de’ longobardi.

Una festa per l’occhi,
oh un mi civien guasi da piange’ per la commozione;
più dimando al mi’ marito,
ni denno la medaglia al valore,
perchè ne la disfatta di Caporetto
s’era ritirato adagio.

M’han portato l’orgoglio in famiglia, e un dico oltre;
gente in su, e un mi fa’ parlare:
marito, moglie, e du’ infanti;
loro li chiamino così.
Pensa un po’:
camera, salotto, cucina e comodo;
cucina e comodo in condominio,
noi mangiamo nel sottoscala perchè ci fa più fresco.

Anditino a senso unico,
uno passa, vell’altro aspetta;
pensa un po che riguardi,
di dove? Di Pievesenatico.
Io sento parla’ di un castello col pone lavatoio, e non mi pronuncio oltre.
Cosa? Eh eh, e un vorai miga mette i mi’ bagnanti co’ tui…
Oh di ‘ase raccomandate dall’azienda economa in via Chimene,
c’è soltanto la mia.
Come perché? Perché dopo la mi’ ‘asa vien subito l’albergo!

Son tanto perbenino
rigovernino da se,
non sporchino il crusino
non t’incrinino il bide’,
non porta il borsalino
ne ‘rilogio nel gile’;
le pare un figurino
e a la mesce nel tupe’.
Bagnanti, bagnanti,
il meglio en capitati a me.

De’ burbiglioni ad argiso,
te senti le rote che ci sono in quel nome lì;
a la guera degl’ incrociati
il su’ bisnonno ci perse un orecchio,
per me lullì è marchese
un lo dice, ma lo fa capi’.
Lì en palle su lo stemma un si scappa.
Oh le è una bellezza oh si,
dovresti vede’ il portamento di quella donna,
t’apre la porta del comodo,
come se dovesse entrare ne la sala del viense regale.
I du’ infanti oh (smack) e taccio.
Te pensa i du’ fratelli Mechetti quand’erin piccini…
Per me l’han divezzati nel collegio delle Torsoline,
vestiti a marinaretti po’ un c’è lapis pe’ disegnalli.

“Che t’è arivata la flotta?”
Mi fa la Mariola de la ‘Ampana
“E te che t’è arivato?”
“Una mandata di ‘alzoni riulati”
I tui sembrino svizeri quando un passino la cioccolata col buro.
Unne le mando miga a dire.
Eh…Puliti?!? Ma scherzi o dici sul serio?
Te vieni davanti la mi’ porta,
quando vedi sorti’ quattro nuvole di profumo spray,
lì dentro c’eno i mi’ bagnanti.
Bagni boni eh…oh…

Camerino singolo presso lo stabilimento Lelia,
e non gli manca niente:
palette, secchiello, costumi, accappatoi, pinne acquatiche.
Locali serali, te li ripassin tutti:
alla Risacca e da Tito son di ‘asa,
e da tanto che sono assidui,
Sergio, l’ha missi persino sotto la mutua;
e loro lì un en di velli che s’abbuffino oh…
Cucina classica, che brodi,
che consumè, che ristretti.
Savoiardo nel caffellatte:

lo inzuppino, lo levino senza fanni fa’ ‘na grinza.
Ni dio sempre al mi marito:
“Te guarda e impara!”…Allù ni si tronca subito.
Consumin poga luce
non ti sfondino il sofà,
un alzino la voce
un li senti litiga’,
o cosa datti pace
un t’offende
un aggaglia’,
a dillo mi dispiace
ma di più un so pol trova’.
Bagnanti, bagnanti
di velli da falli imbalsama’.
Quindici giorni dopo…

Un mi parla’ più de’ bagnanti, nati da ‘n cane
unne vol senti’ manco l’odore,
accidenti al giorno che me li so missi fra le ‘osce!
Delofio che troiaio…
Appetto a loro il baroccio del pattume è acqua di ‘olonia,
questi popò di pidocchiosi, oh..
Oh un si rivince;
in casa mia ci sembra il Metato,
o un t’è venuta anco la sociora…
questa popò di befana,
un ce la fai mai a capi’ se sia a sede’ o se sia ritta.
Pare il matuffo di fondo,
quello che un c’alligna né il sugo né il formaggio.
L’altro giorno n’è scoppiato un cecchio chiappino
e m’ha rotto tutti i vetri della credenza,
pareva fosse scoppiata la bombola del gasse!
Brodini!?!
Ma nemmeno co’ dadi per fa il gioo dell’oca,
da vel tavolino lì un fil di fume un cel’ho mai visto leva’;
cartocci tanti…
A ridanni primitive sembianze
a le mortadelle che t’ahn mangiato loro lì,
c’è da fa le ‘orse de’ micci per tre anni!

Altro che consomè,
m’han diluviato persino i lupini della tombola!
Però bella mi te ci vol coraggio,
un c’è più un bricco sano ne un laveggio,
ti rubbino le groste del formaggio
po’ vanno a parla’ male di Viareggio;
mangin tutto co’ le mane
v’abbuffate d’affettato
a giorni sani,
di vino non ce n’è manco annacquato.
E un piange bella mi te:
a bagni boni?!?

Ma lù a tre dita d’unto nel colletto,
bagnature del brevio:
rimpiattino i vestiti tra poggioni,
e si vanno a sgruma’ dietro al moletto;
uno spazzolino da denti in quattro,
e con un pelo solo,
la sociera si struscia le gengive col manio.
Loro lì si lavino col “Caamai”?
Loro lì si lavino si ma col “caasempre”,
Di già i bamboretti en pieni di groste,
brutti e mal levati;
m’hanno riempito le matrasse di gore,
e po? Con la carbonella m’han scritto su la porta del comodo:
“Viva la potta color puce dell’Assuntona”
Io un mi contenterei d’altro,
ma la soddisfazione di sape’ come han fatto
a indovina’ il colore, me la vorei proprio leva’.
Hai capito che razza d’infanti, e le’ fa la faina…

Col su’ marito litiga a nottate
si senti certe ‘ose che un ti dio,
allù ni garba da’ dell’attastate
però com è lullì un ci fa paino.
Oggi ho detto al mi’ Nerone:
“Un rimedio caro mio,
presto s’impone,
o vanno fori loro o scappo io!”
Palle in su lostemma?!?
Ma velli lì un son neanco cogliombari col varicocele!
Toh! Per te e tutti velli di Pievesenatico.

Quel che sbrodola il filosofo
tu non lo credere, non è la verità,
Bartolini fa il fotografo
e il Taccolino invece vende il baccalà;
chi s’arrabatta all’estero
vuol di’ che è nato qui,
chi ‘un vol passa’ da bischero
vuol di’ che è nato qui.

La potassa fatta in bricioli
se non la mescoli almeno per metà
con lo zolfo dei fiammiferi
Sabato Santo stiocchi oh bimbo ‘un ne poi fa’;
chi non aspetta il sabato
per di’ che ‘ni stai lì
ma ti sfa ‘l muso subito
vol di’ che è nato qui.

Cento case e una via (cento case e un via, dove c’è anche la mia)
dove c’è anche la mia (cento case e una via dove c’è anche la mia)
dove nasce una storia ogni dì
la mia Viareggio è made in Italy.

Cento case e una via (cento case e un via, dove c’è anche la mia)
dove c’è anche la mia (cento case e una via dove c’è anche la mia)
dove nasce una storia ogni dì
la mia Viareggio è made in Italy.

Oggi va di moda il cosmico
Mercurio e Venere galassie da scrutà,
tutto nacque da Copernico
ma dell’immenso ancor ben poco si sa;
ma chi senz’esser astronomo
quando ‘un ni dice sì
sa che i coglioni girino
Vuol di’ che è nato qui.

Caschin già le foglie a’ platani
di vi alle Ceneri hai voglia d’arrancà;
tra gli scogli i primi totani
teneri ‘un sono sposa falli sbollentà.
Chi della vita il bandolo
accosterà ogni dì al volo di un coriandolo
vol di’ che è nato qui.

Cento case e una via (cento case e un via, dove c’è anche la mia)
dove c’è anche la mia (cento case e una via dove c’è anche la mia)
dove nasce una storia ogni dì
la mia Viareggio è made in Italy.

Sarà la sorte ingrata
o il flusso della luna
se un te ne imbrocco una
da cinquant’anni in qua,
ma se nella nottata
ho fatto sogni strani
speriamo che stamani
qualcosa cambierà.

Mi levo, mi lavo, mi voto, mi vesto,
l’orzoro non bevo per fare più presto;
in fabbrica scapolo un vero pestaggio
perché c’è lo sciopero a gatto selvaggio.
Vorrei fa’ un macello, ma dato che son solo
con canna e secchiello ti vado sul molo;
mi metto alla pesca, l’igiene s’impone
mi vol vedè l’esca, misura il ciortone.
Siccome risulta più in là di una spanna
mi fanno la multa, mi levin la canna
ariva un agente: via di filato!
Dal Ponte Girante al Commissariato.
Al Commissariato c’è il mi’ Salvatore
Perché ha smoccolato il su’ professore.
In via Bonarroti Santoro m’allenza
“Se il sette mi voti…”dio che mi fai?
Dice lu’ ”ti curo a credenza”.
O Ernè, lascia perde’, son pieno di guai
traverso col verde, m’investe il Gattai;
qualcuno si adopra per dammi una mane,
ma scivolo sopra la ciotta di un cane.
Rincaso depresso, che trovo in cucina?
Il solito lesso con la grandinina.
Fra il pranzo e la cena non cambia la storia
né nicchi, né rena, né pace, né gloria.

Delafia che giornata!

Sarà la sorte ingrata
o il flusso della luna,
se un te ne imbrocco una
da cinquant’anni in qua.
Ma se la mi’ giornata
è andata a pippa nera
speriamo che stasera
qualcosa cambierà.

La televisione fra strisce e rumori
mi mette il fottone così sorto fori.
Ti vado in un cine “Sparate a Calisto”
ma dopo du’ scene…oddio l’ho già visto!
Ci son le elezioni, Viareggio è impiastrato
di mille illusioni perciò il candidato
palanche a bigonge promette al comizio
però se un t’arangi finisci all’Ospizio.
A chiude l’Ufficio Gragnani si pone.
Al bar di Vinicio c’è Prome in quistione
e come argomento c’è il caldo che ‘un viene,
i danni del vento, la lira che ‘un tiene.
“La scienza al domani dà già un avvenire”
ribatte il Verciani, ma è inutile dire…
dall’umile ancella all’esile Isotta
la cosa più bella…lo posso di’? Sì!!!!
Rimane la potta!
E a me certe ‘ose mi mettin paura,
qualcosa mi cresce, ci vol l’avventura…
Ti passa una mora in minibraette,
somiglia alla Dora che sta alle Focette;
accanto alle scole stendemo il contratto
ni do quanto vole, ma giunti sul fatto
la Mora m’artiglia: “sei bello nostromo…”
ma appena si spoglia ti scopro che un omo!!!

Delafia che serata!
Sarà la sorte ingrata ecc…

L’afferma il mi’ nonno che ha già novant’anni
soltanto nel sonno ti scordi l’affanni.
Nessuno a tal detto può far la protesta,
se elimini il letto m’hai a di’ che ti resta….
Mi devo sbucchiare già fin dal mattino
mi fanno un affare che pare un conchino.
T’arivo alla sera con l’acqua a paioli
così ‘un vedo l’ora d’andà fra i lenzuoli.
Però non appena t’appitoro l’occhi
la mi’ Filomena mi stuzzia i ginocchi
Stiracchia il saccone, mi dice “tesoro”…
mi sento un cappone, mi tocca fa’ il toro;
a fatto compiuto m’agghiozzo di botto,
ma dopo un minuto mi dà un pizziotto,
la Mena in caldana è un vero flagello…
Oddio! Mi richiama… risuda Raffello!
Ridotto una ciornia dal bis accordato
mi piglia una dormia da superdrogatom
ma un certo strizzotto t’arriva nel sogno,
mi levo di scatto per via di un bisogno
Amato in gaina ce la col Del Frate
la notte cammina, le tre son passate
ritorno nel letto per quel che rimane,
ma appena en le quattro mi sveglin le campane!

Delafia che nottata!!!!

Sarà la sorte ingrata
o il flusso della luna
se ‘un te ne imbrocco una
da cinquant’anni in qua.
Ma se la nella nottata
ho fatto sogni strani
speriamo che stamani
qualcosa cambierà.

Nel paese del mio passato
c’è una barca: la Santa Terè,
cento viaggi caolino e fosfato,
altri cento di grano e caffè.
C’è la rondine e il grillo,
la trottola e il prillo,
c’è il granchio e il nasello,
c’è il bamboro in collo.
Fra giorni di luce,
fra notti di pace,
c’è gente felice
di vivere qui.
C’è un fratino che ha solo una tonaca
e c’è una domenica
fatta così.

Domenica al mio paese
botteghe chiuse,
ma aperte le Chiese.
Le Marinelle, le Berte, le Rose
son più vanitose
che gli altri sei dì.
Vieni Guglielma portiamo i ragazzi
fin sotto i palazzi
del viale Manin.
Una granita piuttosto modesta
ed il giorno di festa
finisce così.

C’è la piazza dei marinai,
quelli vecchi che non viaggiano più,
le tempeste, le femmine, i guai,
i ricordi del tempo che fu.
C’è laggiù una paranza,
c’è il vento che aronza.
Puleo con la ganza
che va in diligenza.
Fra giorni di luce,
fra notti di pace,
c’è gente felice
di vivere qui.
C’è una polla che viene giù anemica
e c’è una domenica
fatta così.

Domenica al mio paese
botteghe chiuse,
ma aperte le Chiese.
Le Marinelle, le Berte, le Rose
son più vanitose
che gli altri sei dì.
Vieni Guglielma portiamo i ragazzi
fin sotto i palazzi
del viale Manin.
Una granita piuttosto modesta
ed il giorno di festa
finisce così.

Nel paese del mio passato
c’è la casa ove nata sei tu.
Sale ancora l’odor di bucato
da un conchino girato all’ingiù.
C’è profumo di nicchia,
c’è un pozzo e una secchia.
C’è un torzo e una bucchia,
c’è un gatto che invecchia.
Fra giorni di luce,
fra notti di pace,
c’è gente felice
di vivere qui.
C’è un budello che pare una monaca
e c’è una domenica
fatta così.

Domenica al mio paese
botteghe chiuse,
ma aperte le Chiese.
Le Marinelle, le Berte, le Rose
son più vanitose
che gli altri sei dì.
Vieni Guglielma portiamo i ragazzi
fin sotto i palazzi
del viale Manin.
Una granita piuttosto modesta
ed il giorno di festa
finisce così.

Testo totalmente sbagliato

Il trenta di settembre già gli schicchi,
matrasse da rifare ci calo i nicchi.
Il trenta di settembre farina e staccio,
per tutto il lungomare non passa un nicchio.
Il bagnino smonta i teli, il turista se ne va.
Si ritorna ad esser soli per le vie della città.
Fra pinacci e le rossine
il ricordo svanirà
di un’estate senza fine per la casa d’affittà.
Fra gallonzori, sorrie, ceoline, fra miserie e nobiltà,
Fra un odore di mondine, carnevale arriverà.
E viareggio, mattacchione, tra finzione e tra realtà.
Sulle cose, le persone a scherzare tornerà

Pigliarsela che vale, amico mio
Chi sfotte in carnevale, non paga il fio
Sul letto di Giocondo io sto sdraiato
Per ridere di un mondo tutto sbagliato
Un chirurgo fa il pittore, ma chi sia non lo dirò
Un legale fa il tenore, ma di petto non ha il do
Don Cinquini è cavaliere, ma il cavallo non ce l’ha
Il Donati è consigliere, ma consigli non ne dà
Tolome son sen sapia, il presente mai non c’è ???
I partiti un van mai via, i casini un fanno e bastre
Il baiocchi un ha quattrini, salimbeni scende giù
Un fa ovo il Pollastrini
Con lastrini e bottigli un puzzi in piu

di fuori sembri nera, povera Gigia
Ma sotto la pancera sei tutta grigia
il mondo è sempre stato in contraddizione
Viareggio che peccato non fa eccezione
nelle orse intorno a un pino alle sei di giovedì
Cortopassi arrivo primo
Gambalunga è sempre lì
il Pardocchi non ci vede il Guercione invece si
i Fedeli in senza fede e giu cicce il venerdì
il cervello si rinviene
Se lo die perché lo so
il Malfatti infatti beve mentre belli proprio no
Angelino il Buonaccorsi di soccorsi un te ne dà
mentre Giacomo lo Sforzi, tanti sforzi un li vol fà

Da quando Beccofino sfondò un tegame
Del vero viareggino si è perso il seme
Ora mi parte il treno prepara cena
Lo sai che gode meno chi un si dimena

Il del Cime sempre in fondo,
il Del Dotto poco sa
Felicetti un è giocondo, il Guidoni un sa guidà
Che riconi un serve messa, il Del Papa non è re
Il Del Frate un ti confessa, perciò assolviti da te
Il Pescaglie un pesca arselle, il Del Sarto un fa gilè
Il Dalpino un da pinelle, il Didere un c’ha il bidè
Fumi un fuma, Monti un monta, Conti un conta, Vanni un va
Alle scarpe Navimonta, Ciabattini un te le fa,
Il Balena sol naselli ???
Il Leoni sono Agnelli, ma che ???

Nel paese dei misteri, mezzanotte e mezzodì,
quasi sempre biondi e neri, el Del Magro e Grosso sì,
il Belluomini un fa tivo, perché troppo demodè,
il Gattai un ti piglia un topo, ma soltanto le cupè,
se in salali e l’Angeloni, il perché vallo a capì,
solamente lì zucconi un si spostino da lì,
il tincore un te la da
alla scuola dell’amore il Del Fava un ci sa fa
Il Del Monte è nato al piano
il Bel Fanto un sa sparà
??? repubblicano
il Sor Mario non si sa

Scordati, tolino, prendi il primo treno, vieni amore mio
Qui non c’è la mole, ma tre case al sole e poi ci sono anch’io
Se con Carlo Alberto non hai più rapporto, rompi l’unità
Se rimpiangi il valentino, più c’è più di un pino che ha la stessa età
Se rimpiangi il valentino, più c’è più di un pino che ha la stessa età

Il mio paese è il più bello del mondo,
da solo un mondo di mille città ???

Le città pensano a milan peconi che riman su via, vieni amore mio
Qui non c’è la nebbia, qui non ti ferrabbia e poi ci sono anch’io
La tua madonnina d’ora è piccina, resti dove sta? ???
C’è un’altra con le mani piena di gabbiani che ha la stessa età
C’è un’altra con le mani piena di gabbiani che ha la stessa età

Il mio paese è il più bello del mondo,
da solo un mondo di mille città ???

Lascia perde Roma, non fa più la scema, vieni amore mio.
Là c’è sta chi magna, qui ce sta chi frigna e mo’ ci sto anche io.
E se il Colosseo fosse tutto tuo, te ne devi annà.
Senza vetri alla finestra, una casetta nostra ce sta pure qua.
Senza vetri alla finestra, una casetta nostra ce sta pure qua.

Il mio paese è il più bello del mondo,
da solo un mondo di mille città ???

Lascia sta Firenze, l’ombra a Freticence, vieni amore mio.
Tra il lungarno e il mare sai quanto ci corre, in mare ci sto io ???
Dice che il biancone sotto i cupoloni non ci vuol più star
Se vorrà la pittarella sa che è carrozzetta ???
Se vorrà la pittarella sa che è carrozzetta ???

Il mio paese è il più bello del mondo,
da solo un mondo di mille città ???

Scappa da Parigi dai suoi cieli vigi e vieni amore mio
Scappa da Sibiglia tanto la mantiglia te la compro io
Scappa dal Becchino tanto il mandarino cresce pure qua
E se il muro è lì vicino scappa da Berlino se ce la vuoi far
E se il muro è lì vicino scappa da Berlino se ce la vuoi far

Il mio paese è il più bello del mondo,
da solo un mondo di mille città ???

Caro figliolo, fazzoletto bianco ricamato che tu’ mà sventolava alla stazione quando partisti, è dentro il cassettone, e da vel giorno lì l’ha più lavato.
Voi sape di Viareggio, a malapena la puoi seguì con l’era del motore.
Là c’è la guerra, e qui c’è le signore, e l’imboscato che te le rimena.
E poi che c’è? C’è Labertini, è qui in convalescenza, piglia il sole, discorre col bagnino.
Ho parlato col conte di Torino per veder se ti mandino in licenza, fatti nuovi.
Be’, anche Beppino l’hanno richiamato. La Dele ha la renella, e a vende l’erbe in piazza del mercato ni tocca andacci alla tu’ zia Raffella.
Puccini è ritornato, l’ho visto in automobile saran tre giorni fa. Io mi vorrei sbaglià, ma dev’esse malato.
E noi? E noi siamo da d’Arsin oramai, la vera Elisa è un c’è bava di vento, e il nostro bastimento caro figliolo, ha navigato assai, io e la tu’ mamma semo all’ancoraggio, che le’ vorebbe andà sempre di ronda, ma dove vuoi la porti? Al patinaggio? Ma fa tuffi di testa alla rotonda, se il giorno è chiaro e se tua ma’ mi sgancia, s’arriva con l’amici sotto il faro, altro due passi fino alla bilancia e si fa a sera.
In quanto alle palanche cercamo di levassi dall’impacci, se d’inverno le sere sono bone vado a pescar due cieche, se stracca il’avarone, i coltellacci.
Eno magri l’affari bè mi te, vado a tirare la sciave e a far l’arselle, do una mano a Funari e raccatto pinelle e funghi se ce n’è.
E poche voi di nuova e di novella, hanno aperto un locale in passeggiata, la Rosa si è sposata e la via Garibaldi è sempre quella.
Torre Matilde, dove andavi a sferare da bamboretto perché dicevi insino no m’annoio, è sempre lì.
Ma il ponte levatoio lo rifarranno perché questo è stretto.
Caro figliolo, domani vado in capitaneria per la pensione.
Voglio il libretto, tienti te alla via, mollo a piglià di petto.
La vita è amara, è sciocca, un sacco di panio, ma è sempre meglio avella anche se grama.
Il primo bacio è il mio, il secondo è tu ma che te lo stiocca, il terzo te lo manda la tua dama
E mi firmo.

Fra quelle da salvare,
ma son solo chimere,
c’è il vecchio puttaniere con i baffi in su,
il cecchio sul sedere,
la canna del cristere,
le case di piacere dal soffitto blu,
le groste sulla chiocca,
le mosche sulla cacca,
la febbre in bocca e il buo sul parvesù,
le cosce della Checca,
il petto della Tocca,
l’uccello di Bistecca che non tira più,
il dente che fa male,
il trapano a pedale,
la nonna sul pitale a testa in giù.

Le cose da salvare sono queste
anche se rare
e le voglio raccontare per chi non le sa,
le voglio raccontare per chi deve qui
restare
a ridare un nuovo volto alla città.

I frignoli di Dario,
la bazza di Gregorio,
il naso che Valerio
ha preso da su’ pà,
lo zio col climaterio
che recita il rosario,
ma smoccola sul serio
se lo fai incazzà,
l’anello del tombino
che ha rotto Nazareno,
il puzzo del bottino
che ‘un si po’ levà,
la moglie di Gaetano
che moscia d’intestino
nemmeno il semolino
‘un ce lo fa a guantà,
il Gori detto Francia
che ha l’aria nella pancia
e quando sgancia trema la città.

Le cose da salvare sono queste
anche se rare
e le voglio raccontare per chi non le sa,
le voglio raccontare per chi deve qui
restare
a ridare un nuovo volto alla città.

La strada de’ tegami,
la Chiesa degli scemi,
il canto de’ salemi presso il Guarany,
la socera del Lovi
che fa la veglia a’ dami
se allunghino le mani per toccassi lì,
i giorni dell’amore
son quelli che hanno l’erre
l’ha detto il mi’ dottore, astieniti Batì,
lu’ ch’era stato in mare
ni leva le paure
dicendo vieni pure oggi è giovedì,
le palle rosso vino
di Rudi Valentino
ci sono già in vetrina di Scricchì.

Le cose da salvare sono queste
anche se rare
e le voglio raccontare per chi non le sa,
le voglio raccontare per chi deve qui
restare
a ridare un nuovo volto alla città.

La borsa un po’ ristretta
O zoccolo o ciabatta
colla tu’ sigaretta fammi fare un pè,
la Giulia e la Giuditta
du’ franchi la marchetta,
quanto ci fai oh Primetta
se veniamo in tre,
le sciolte indurite
con quattro limonate,
borsiti rintuzzate
con il vin brulè,
c’è il nonno di Tersite
che fede un l’ha mai avute,
però ha voluto il frate lì vicino a sé
al Camposanto oh donne
ci andrete lemme lemme
i soldi per il tramme non ce n’è…

Le cose da salvare sono queste
anche se rare
e le voglio raccontare per chi non le sa,
le voglio raccontare per chi deve qui
restare
a ridare un nuovo volto alla città.

Primavera son verdi le foglie,
son verdi le voglie,
son verdi i perché.
Con il sole che bacia le soglie
odiate spardiglie
non fate per me.
Oggi è il giorno di San Benedetto
e sotto il mio tetto sapete che c’è,
c’è una rondine bianca sul petto
c’è un nido già fatto
venite a vedè.
Colle fave c’è bono il formaggio
profuma Viareggio
di rose e pansè;
ogni sera nel bene di Maggio
d’amore un messaggio
purissimo c’è.
O gran madre del Cielo Regina
Viareggio s’inchina
prostrato ai tuoi piè,
io però le cantavo bambina
perché la scambiavo
Beppina per te.

Miriordo
è il pensiero che vola,
vola verso una favola blu.
Miriordo
è quel banco di scuola
dove un giorno sedevi anche tu.
È la piazza davanti alla Chiesa,
è la mia con la tua gioventù,
è la debole lampada accesa,
la porta socchiusa
sul tempo che fu.

Al Balena ci vanno i signori
Salviati, Ginori, Bertolli e Garè,
al Colombo curati e priori,
le monache al Dori
dal tocco alle tre.
Pattaioni bisunti arroganti
un vò più bagnanti però sai com’è
semo poveri i debiti èn tanti
sensali su canti
pensate anche a me.
Ferragosto cornetti e briosce,
fra puppore e cosce
la ciccia che c’è.
Il patino, signora, non esce
col mare che cresce
rimane dov’è.
In carrozza, da Berto guidata,
da pogo è passata Madama Dorè
co’budelli dell’ultima ondata
va in giro agghindata
per falli vedè.

Miriordo
è il pensiero che vola,
vola verso una favola blu.
Miriordo
è quel banco di scuola
dove un giorno sedevi anche tu.
È la piazza davanti alla Chiesa,
è la mia con la tua gioventù,
è la debole lampada accesa,
la porta socchiusa
sul tempo che fu.
Grigio autunno languori d’amore

le sere per ore
si stamo
a guardà.
Se domani ti porto a fà more
tu’ madre se occorre
Che cosa dirà?
Non badare se Egisto t’attesta,
non dire mai basta
fin lì ci poi sta’,
Ma se vol qualcos’altro, Mercede
lu’ prima di gode
ti deve sposà.
Di mi’ padre le lettere stinte
che scrisse dal fronte
pensando a mi mà.
Delle giostre le donne dipinte
dell’ottovolante
la velocità.
Del balletto, il costume azzardato
del cinema muto
le fatue beltà.
Il sapore del primo peccato
da me confessato,
ma solo a metà.

Miriordo
è il pensiero che vola,
vola verso una favola blu.
Miriordo
è quel banco di scuola
dove un giorno sedevi anche tu.
È la piazza davanti alla Chiesa,
è la mia con la tua gioventù,
è la debole lampada accesa,
la porta socchiusa
sul tempo che fu.

Un presepio col Bamboro rotto
ci vole il panciotto
col freddo che fa.
La scabodda, la strega, ‘linchetto
l’orribile aspetto
dell’eternità.
La mi’ nonna sdraiata sul letto,
l’impiastro sul petto,
la tosse che ha!
Le’ vorrebbe arrivà a novantotto,
ma il medico ha detto
che un ce la farà.
La civetta ha cantato stanotte
spirata è alle sette l’Adele del Re
e in cucina da quando èn le sette
che odore di latte
bruciato che c’è!
Una croce, un lumino, un ritratto,
du’ fiori, uno scritto
lì dentro chi c’è?
C’è la vita;la vita, oh bimbetto,
che tutt’ad un tratto
s’è messa a sedè!

Miriordo
è il pensiero che vola,
vola verso una favola blu.
Miriordo
è quel banco di scuola
dove un giorno sedevi anche tu.
È la piazza davanti alla Chiesa,
è la mia con la tua gioventù,
è la debole lampada accesa,
la porta socchiusa
sul tempo che fu.

Le Darsinotte, le Chiorbe, le Matte,
Cacabullette chiamato perché
nello svotassi la fece in picino
ruppe un chiusino ed immagina te.
Pitoro, Ciottoro, Mattamaria,
la sora Mea, che a Viareggio venì
a fa’ la cura del sole a’ bagnetti,
ma ’bamboretti la fanno ammattì.

Bicchio, Bililli, Quartuccio, Ridanni,
ma di Pinanni non c’era che lu’;
stava dieci anni per fa’ le rimonte,
quand’erin pronte ‘un usavin più.
Lupodimare, che se ne credeva,
stette dal Bava trent’anni a studia’;
quand’ebbe i fogli ni denno un puntone
perse ‘l timone e lo fece affondà.

Che razza di nomicchiori
al tempo di mi’ pà
i viareggini andavano a inventà.

La Ceccarana, la Pepa, la Beppa,
la Mangiastoppa, la Bella Filiè.
La Bradamante, la Secca, la Spracca,
la Piritucca, la Tocca, la Tre.

Serba, Trenino, Raccattamalanni,
che per vent’anni ste’ lì per morì;
mentre ‘l Pardocchi, chiamato ‘l Ferone
d’indigestione in tre giorni partì.

Cecco di Bocco per ‘un sentì male
all’ospedale ‘un ci andava perciò
se aveva un cecchio che ‘un ni maturava
se lo sturava col tirabusciò.

Come son bello Ma rullo diceva
ma ‘un si sposava per ‘un dimagrì;
po’ per ‘un fassi ammuffì la conserva
sposò una serva, ma ‘un se ne servì.

Che razza di nomicchiori
al tempo di mi’ pà
i viareggini andavano a inventà.

Vinci, Maino, Bignatta, Strinetti,
che da bimbetti si fece penà
impallinandosi con i veccioni
quando a’ poggioni s’andava a sferà.

Beppe D’Aguglia, chiamato Medaglia,
perché in battaglia voleva perì,
ma al primo colpo ‘un riuscì a danni volta,
prese la sciolta e sfilato morì.

Lezzora, Pipporo, Guastafaccende,
Sfondamutande, chiamato perché,
se le faceva di tela da tende
per ‘un ispende le cuciva da sé.

La Rubbapane, la Schiacciapidocchi,
la Piantasecchi,l’Aiutimi te,
perché la sfilza di nomi condita
sembra finita e finita non è.

Che razza di nomicchiori
al tempo di mi’ pà
i viareggini andavano a inventà.

Tacio, Tallito, Trebesto, ‘l Digiuno,
che manco un pruno poteva assaggià;
n’era viensuto a un cogliombaro, un nodo
e c’era modo di fallo operà.

Stoppa, Guazzini, Sciapino, Trivella,
ganzo di vella che venne in città
a vende’ l’ova da un’altra provincia,
ni restò incinta e si fece sposà.

Tappio, Tramonte, Cianella, Puzzino,
che nel bottino t’andiede a cascà;
‘un servì a nulla lavallo co’ ranno
ste’ per un anno Puzzino a puzzà.

Pippo, Mondina, Tanasio, Capocchia,
la Bagalocchia, la Biasciamascè,
la Bella Rò che coll’acqua di Stiava
ci si lavava indovinelo te!

Che razza di nomicchiori
al tempo di mi’ pà
i viareggini andavano a inventà.

E’ colore l’antica vela e l’uomo che la governava.
Venti aggolfi e buriane e un c’è bisogno dello strumento
Per veninne alla conoscenza
Perché se l’uomo è di davvero chiavato per il mare
Il sapere lo deve aver nel senso
E sta barca via la crusca il culo te lo dice un bischero
Tra mezz’ora è in crespe di coppa
Ma non esiste tempo trito, buriana, burasca, bufera
Tropea, temporale, turbine, nembo, vortice, fortuna, pampero, procella
Tifone, ciclone, scione, uragano, maremoto
Capace di piglià la sprovista beppe della finocchia
Padrone di fogli e di sentimento
E chi vuole intende intenda
E qui piglio fiato
A vento di troppo favore, occhio alla barca che troppo ti core.
E’ come se lo sapessi, fai io figuriti.
Al mare incazzato, son bono di levanni il micio di sotto le chiappe.
Che faccio? E me lo domandi anco.
Tempero le vele, sghindo le alberetti,
Maino pennoni delle velace, serro boccaporti, paro portelli,
Trinco l’artiglieria, stendo passerini, teso le sarte,
Arido patrazi, metto paranti di barcollamento,
Piglio tersaroli alle gabbie, governo almaroso, cappeggio, poggio,
Coro a secco, metto la pruga tra il filo e il traverso,
E alla prima potta d’ovvolta, perché potta sudata è mezza guadagnata.
E’ un occhio della coscienza su quell’altra mezza, un ce la vuoi chiude, eh?
Tanto, guarda, hanno altri marittimi, l’anni dell’inferno,
Se riscala piano piano il mestiere, e qui piglio fiato.
Mare Ionio in tempesta, la Delaide non curante fida,
Superate le bocche e faremo rotta per le antille,
Nuova Caledonia, vado, scivita vecchia, oceano indiano e mari della Cina.
Se al timoniere unni veghino i geloni, additi in due settimane se la levamo.
Riempito il portolano di notizie incognite, utili Ministero Marina.
Cristoforo Colombo, Cabotta, Marco Polo, Anton Di Noli,
Uso di Mare Malocello e Beppe della Finocchia.
In fatto d’ardimento marino, dopo v’è sette lì la storia, un ne registra altri.
A me me dà un conchino, un manio di granata, un lenzolo, un remo, un tappo che un trabui, e all’abetone no.
Ma basta che tu mi metti in mare, che anche per viaggio notturno il sottoscritto incorsica ti ci sbarca col manfano asciutto.
E qui piglio fiato.
Ulteriore aggiornamento del libro di bordo.
Fori Porto Ferraio, avvistati relitti in naufragio, una seggiola e una cassetta d’aranci.
Trattavasi sicuramente di piroscafo rivolto alle americhe.
Agguantato la seggiola con lunghe tenacemente conficcate nei caviglioli, vedevasi galeggiare un lucchese di Porta Elisa.
Un cinese stavali accanto, anch’esso ancor più tenacemente avvolto.
Alba è avrancato alla cassetta contenente l’aranci.
Causa vicinanza mastodontica balena artica,
Risultato impossibile agguantare i naufraghi
Tramite calo scialuppa o gozzo che siasi.
Lasciata passare nottata.
Alba sopraggiungendo, nulla più videsi
Fuorché mastodontica balena artica.
Arpionata la medesima con un preciso colpo di folgolo,
Issata a bordo e squartata dal cuoco con encomiabile perizia.
Cose da non credersi, ma fuori trovato
Nella pancia del gigantesco cetaceo
Il lucchese a sedere sulla seggiola
Che vendeva l’aranci al cinese.
E chi gli appunto?
Allume di petrolio assunta, amata,
Verosia, sposa, diletta,
Colpita.
Queste poche righe ti vergo, abbada le tue faccende, casa e messa la domenica, e un sorti che per la spesa, tanto per le strade un c’è da raccatta che della polvere, un tavampà la vista del bagnante embraette che ti gira per le stanze per necessità d’affitto, il lucchese effelino, riorditelo, e il pelo
Garba a tutti, un ti dà preoccupanza per i figlioli, tanto è in tutti i masti, se passino bene, se non passino, c’è lo sbruffo del mare che l’aspetta,
Tienni piuttosto alla buona salute, pane insuppato nel latte per supporazione patereccio, tira filo per cali rincalliti, cucchiaino da caffè per tappabuo provocato da cimello di pino,
Per tosse, orecchioni, morbillo, scarlattina, lingua col grumo, patacca in gola,
Brugliori, cecchi, croste, palloccoli, anguinali, mal di pancia, cataro, carella, mosse di verbi,
Un cecche l’anna da lavativo, e a dottori, vanni in culo, tanto è tutto caloro.
E se il varicocele di Tu pa Teofilo ne si dovesse ulteriormente allungare,
Diciamo tanto per istabilire la misura fino al ginocchio, te cucini subito due bottoni alle palle,
Tanto qualche occhiello libero alle mutande lo trova sempre.
E qui piglio fiato
E a forza di pigliaffiato la barca di Beppe della finocchia è attraccata al porto delle neppie.
Fondo e limo sull’ancora. Siamo arrivati. Una messa a Pasqua, pensione, casa e osteria.
Le braccia un’è in più al mare, la testa un’è in più al vento.
Soltanto il cuore è sempre alla vela.
Nel vare del vecchio Pompidio, al buio d’un cantuccio, si gioca a tersilio, c’è l’odore di bistrò.
Spazzica gente alla mano, si beve il quartuccio, si fuma il toscano, si chiacchiera un po’.
La Verona, il Talete, i gemelli, l’Algerina, l’Amea di Corfu, tutti i nomi di vare che putelli, navigate nel tempo che fu.
C’è sempre nel vare di Pompidio, dal 1800 lo stesso mobilio,
C’è il modello che fece Tistino
D’un cinque alberi, un clipper, e t’attene
E’ più il la garibaldi Peppino Che a Teano si incontra col re
E’ un bare di periferia Che in giorni lontani chiamavi osteria
Con semplicità
Qui senza più drizze ne scotta padrone
Doni e scrivani, prepari la rotta per l’eternità.
Senti ancora parla di Tamagno, di pio nono, di Gerevi o Lenin,
Chiesa rotto, realista o compagno, ogni giorno da tracchino lì.
Le ore quaggiù se enfermate sul chiaro tramonto di un giorno d’estate di cent’anni fa.
Sui visi dal mare aggrinsiti c’è tutto il rimpianto dei giorni puliti
Di questa città.

Quella persiana un po’ stinta
non era che finta,
quel vecchio caffè
con il poncino al bicchiere,
con l’oste a sedere, la briscola in tre,
della chiesetta Ulivieri, Maria dei dolori
pregate per me,
ne han fatto un gran caseggiato
Gesù se n’è andato,
ma c’era un perché.

Di questo paese rimpiango le cose
che come rose sfiorirono ma
in piazza Viani
c’è sempre una polla
che è simile a quella di tanti anni fa.

La primavera che bussa,
la vecchia rimessa, pariglie e landò,
dove l’albergo Del Sole,
quel nido ospitale
ma piccolo un po’,
dov’è la camera buona
con la mantovana
di tela bordò,
il letto in ferro battuto,
il soffitto affrescato tarmito il comò.

Di questo paese rimpiango le cose
che insieme alle rose sfiorirono ma
dov’era il Casino al fosso bagnato
Viareggio è restato a un secolo fa.

Le biciclette dell’era,
piacere di un’ora, ma niente di più,
le scale senza ringhiera,
la stessa paura che avevi anche tu,
la farmacia con la senna,
la vecchia Corinna coi falsi bijoux,
mentre in salotto mia nonna
serviva la panna
nei suoi rendez-vous.

Di questo paese rimpiango le cose
che insieme alle rose sfiorirono ma
il ponte girante, sentiero sul fosso
è sempre lo stesso di cent’anni fa.

Ormai sepolta dai pini la torre Bottini
più storia non fa,
più non la fanno i lampioni,
le antiche emozioni, le antiche ansietà,
non più la gente pulita
che prende la vita così come sta
come ogni giorno che viene
col male e col bene divisi a metà.

Di questo paese rimpiango le cose
che insieme alle rose sfiorirono ma
in piazza Ragghianti c’è sempre un terrazzo
che vide un ragazzo cinquant’anni fa.

In questo paese sapore di sale
c’è sempre quel sole, c’è sempre quel sole.

In questo paese ovunque tu vada
c’è sempre una stradadi tanti anni fa.

In questo paese c’è sempre il mio cuore,
l’ho dato al mio amore per l’eternità.

Ve li do io li l’eri lalleri,
Vo altri viareggin un sette degni neancho
Di ungi il chiavaccio di Porta Sant’Anna.
Acqua, rena, ignoranza,
Restereste indigesti perfino la pantera
Se fosse sempre di ciccia.
Sabete, mbrenno il nome della città
Con la tinta perugina fin sull’orlo delle mura,
Ma se non venite in quel del bucellato,
I folli di carta bollata per le vostre ose,
Le ase, le iese, le iuse,
Chi ve li firma?
Bellamilucca!
Bellamilucca,
Venni i fillunghi amati,
Andavi ad ammeati,
Ora mi tocca.
Vaggo a viareggiò,
Mi stiaffo per le reni,
Così il dolore al re ne passerà.
Ho scritto in carta…
In via Paolina, ad una famiglina che di meglio non ne puoi trovare.
Camera mobiliata con l’uso di salotto, cucina e ciottoli.
Uno scricchiello di funa nell’orto per i stendi e la biancheria di sotto.
Gabinetto a volontà del cliente con l’obbligo di arte propria
E pompatura dell’acqua dopo lo scario.
Pensa e ripensa, si piglia o non si piglia,
Vicario la famiglia in dirigenza.
Noi quattro dentro, i bambori davanti, parevimo briganti del farabbes.
Vien sin da Chiapperino, Ponta Moriano, Svotonno, Ancofagnano, per vedetti partimiè.
Addio, Lucca, dall’acque sorgenti e pioviscolose.
Pusse però la cremina in punta di gota, ma la mi concetta nel dolore della dipartita.
Era da paragonarsi tutta la lucia mondellura dei compromessi sposi,
Quando scappon su la chiatta per via che il donerico
Ni voleva bruciar il paglione Renzo Tremarino, ladra terra.
Partimmo, viaggiommo, arrivommo, bussommo, entrommo.
E non rivivelli dei fagiolini!
Scesi nel scivolino della tromba delle scale grimiti che ci pareva l’oda del pane.
Si fennò un festone come se fossimo fratelli di sangue liberati dalle tragedie del Tremoto.
Basci col succhiotto a bambori che allegavino come le nespole,
Manate in sulle spalle a mi vecchi,
Dari sveglianni i catari.
S’aiuto uno a fa’ il trasloco dei fagotti alimentari dal tetto della diligenza al tavolino del salotto buono.
Ma quando mi viense in dell’idea di fai’ il controllo numerio,
M’accorsi che mancava il fagotto dell’uva passora.
Dice il sor Giuseppe Marittimo,
Ve lo sarete scordo.
Come l’essere scordo di levarsi i gracini dalla baza.
Allora il rosso peperonato,
Rimirando la ciccia prosperosa dalla mi concetta, mi fa
Un e tanto per l’uva.
Ma quando vengo la passora o mi tengo più alle mosse,
Ladra terra.
La passora parte, i primi di bassonno e male da dipeste.
Un si trovo mo’ stato non fosse denoti alle madrasse pareva quasi tesse nati di siala mi concetta
Luccao una potta smutò sulla mandritta e con una patta mi tramoretti
Te la riordi mieve la bella rota di salame per danni di merenda a bambore in sole piagge
Sparite? eh sparite vella e anche l’unto di perdita insugato nell’arta della credenza
Allora se la sommangi i viareggini? cosa ci ni vorrebbe alludere con questo processo intenzionato
Mi fa il sor Giuseppe Marittimo altri siamo gente lavorativa e di parocchia tutto
Di stianto fu te ri de su bambore e la sor annunziata su
Legittima sposa, invionno a fa la faccia di vecea tra sudada frontali. Dopo due
Uncati a voto, le mani appigiate a belliori, si chinonno a scrannino e giuoresce dalla
Bocca pezzi di salame che parevi in bistecche ladra terra. Reato confesso, bel mi bo,
Un basterebbe un taro da ringhe per difendili. Pu’ esse quello che abbiam compro da Gigione,
Dice il sor Giuseppe, ma quando la non si atona di è dell’ultimo uncata che ni liberò il culaccino
Dallo strozzo, Gigione un par di coglioni barini feci, e proprio il mi salame di mi fattura casalinga.
Ne sete proprio sicuro? Nessuno sicuro si, lo rinosco dallo spago ladra terra.
Per chi lucchesi? Ma allora che dite i regini che con le mutande rotte ci fanno colletti
Alle amiche? Gabinetto di licenza nel fondo dell’orti scoredato dalla porta richiusa. Perché
Sto Giuseppe Marittimo? Non ci fate rimettere la porta? Dice, perché per via delle mie ambizioni
Politiche devo controllare lo sforzo prodotto dagli italiani nel momento del bisogno.
Guanciale senza federa, l’Ensoliteghi carta peorati, con uno ce ne avevino fatto otto,
Tiravi da piedi, ti si scoprivino le fattezze petturali, tiravi dalla chiocca, risultavi come
Il morto di Olaera dagiato sopra il birroccio. Dice, cassa lontana da fossi malarici e albe limitrofi.
Fra zanzare, pulci, burbiglion, colleorna,
Sci ni pareva iolai il giardino deologico.
Zanzare impallati da riscambialle iolai per liofanti,
Su chiavi na pompa come bambori da latte attaccati al pirolin de la balia.
Dopo tre notti parevimo tutti le posse artesiani.
Cini di un po’ di zampirone fumogino, dice il San Giuseppe,
Per alle curille di più, grosse come si rimpassino per danni sterminio.
Cini vorrebbe simo delle belle supposte avvelenate ladra terra.
Una notte ti sento proveni uno strappo dall’est del mi socero,
Seguito subito dopo da un grido lacerato da smovecca cinasci del soffitto.
Che è successo?
Cosa c’è, opa?
Dice, tira di cima, tira di fondo, mi si strappa un lenzuolo nel mezzo.
Ma non importa, mi ha gridato tanto per un lenzuolo rotto.
Ma io ho gridato per via dello zanzarone.
Quale, opa?
Dice, quello delle tre mezze che entra da un succhiotto e poi va via.
E in che punto va punto?
Dice, a cazone dello strappo centrale.
Ma punto a punto, non punto, Cormèo, mi serve più.
Ma mi c’ero tanto affezionato, ladra terra.

Le cartoline illustrate
lacci, lamette e gilet
le saponette scartate
cianfrusaglie demodé
pettini e carte bollate
crema da scarpe nugé
pale, secchielli da estate
e tabacco da frate
Tre Stelle per me.

Quell’appaltino antiquato
di cinque metri per tre
la scorsa notte ho sognato
sono entrato insieme a te.
Sale dal tempo passato
triste un rimpianto perché
con l’appaltino antiquato
qualcosa è finito
anche dentro di me.

Via Garibaldi
piena di soldi
soldi per vivere
e fare l’amor.
Ci sono nato
non ho scordato
le dolci e tenere
cose di allor.
Ti sorridevo
rammento, lo so
per quel che avevo
e che adesso non ho.
Via Garibaldi
prestami i soldi
devi comprare una casa al mio cuor.

Decorazioni ufficiali
nastri, galloni e chepì
aquile per federali
bamboline di bisquì
fregi, speroni, stivali
domini e cipria cotì
la rinascenza Natali
non ebbe figlioli
e per questo finì.

Sul mare il cielo si arrossa
mi siedo al bar Guaranì
guardo la gente che passa
e ripassa tutto il dì
solitamente la stessa
più ricercata che chic
quella signora un po’ grassa
non è una contessa
ma un bricco di qui.

Via Garibaldi
piena di soldi
soldi per vivere
e fare l’amor.
Ci sono nato
non ho scordato
le dolci e tenere
cose di allor.
Ti sorridevo
rammento, lo so
per quel che avevo
e che adesso non ho.
Via Garibaldi
prestami i soldi
devi comprare una casa al mio cuor.

Quanti quaderni a quadretti
che comperavi anche a tu
dal vecchi nonno Michetti
foderine gialle o blu.
Lui non fumava i minghetti
come Camillo Cavour
beveva solo i corretti
ma quelli ristretti del tempo che fu.

Fogli di carta stampata
a trenta passi più in su
di Bociorino l’entrata
da una vita non c’è più.
Sulla tribuna illustrata
il terremoto in Perù
e in una prima puntata
la storia segreta
di un certo Landrù.

Via Garibaldi
piena di soldi
soldi per vivere
e fare l’amor.
Ci sono nato
non ho scordato
le dolci e tenere
cose di allor.
Ti sorridevo
rammento, lo so
per quel che avevo
e che adesso non ho.
Via Garibaldi
prestami i soldi
devi comprare una casa al mio cuor.
Via Garibaldi
prestami i soldi
devi comprare una casa al mio cuor.

Du’ palle di cascellore,
du’ bodde, du’ ciottellore,
du’ pillole, du’ tillore
col tè.
Du’ panni messi a stendere,
du’ fiaschi vuoti a rendere,
du’ strappi da riprendere
al gilè.

Du’ danni da rifondere,
du’ pecche da nascondere,
du’ lillori da spendere
perché
le cose non ti scappino
però se in due s’accoppino
mi devi dì la vita che cos’è!

Viaregginella
in cima al molo
ci son io soltanto solo,
solo con le cose mie,
ma anche noi saremo in due
se stai con me.

Du’ foglie che tramontino,
du’ donne che s’incontrino,
du’ nuvole che montino
laggiù.
Du’ vecchi che raccontino,
du’ viaggi che rammentino,
du’ cosi che ormai stentino
‘andà su.

Du’ micci che si puntino,
du’ denti che ‘un ispuntino,
du’ rondini che cantino nel blu.
Le cose non ti scappino
Però in due ‘un s’accoppino,
la vita bel mi te non serve più.

Viaregginella
in cima al molo
ci son io soltanto solo,
solo con le cose mie,
ma anche noi saremo in due
se stai con me.

Du’ vele, du’ trabaccoli,
du’ marinai, du’ moccoli,
tirati a’ Santi piccoli
e più in là.
Du’ chiese con du’ steccoli,
du’ arcili, du’ trabiccoli
da sfa’.

Du’ bimbe con du’ boccoli,
du’ donne con du’ zoccoli,
du’ serve di Lantroccoli
e si sa.
Le cose non ti scappino,
però se in due s’accoppino,
la vita mi sai di’ cosa ti da.

Viaregginella
in cima al molo
ci son io soltanto solo,
solo con le cose mie,
ma anche noi saremo in due
se stai con me.

Du’ lettere per Cagliari,
du’ culle, du’ sonagliori,
du’ cuffie, du’ bavagliori
e fra un po’
du’ bamboli su sogliori,
du’ caccole, du’ brugliori,
il tempo sembra migliori
perciò.

Du’ mucchi di pinugliori,
du’ notte fra du’ tigliori
che acchiappin du’ conigliori
al ghindò.
Le cose non ti scappino
però se in due s’accoppino
la vita più che sì ti dice no.

Viaregginella
in cima al molo
ci son io soltanto solo,
solo con le cose mie,
ma anche noi saremo in due
se stai con me.

Le strade con gli aranci,
la via Da Vinci, la via Manin,
autentica signora vestita ancor di liberty
entra la porta è aperta…
buongiorno Augusta, che mi voi di’?
Imprestimi un ciuccino,
c’è in mi’ Sandrino che ‘un vol dormì.

Viareggio sei cambiata,
non ti conosco più,
venduta o barattata
sotto il tuo cielo blu;
di te non è restata,
mia piccola città,
nemmeno una facciata
di cinquant’anni fa.

Amore dietro il canto,
un bacio spinto darle non so,
so di un lampione spento
e chi l’ha spento questo lo so;
è timido l’incanto,
si fa soltanto quel che si può,
il resto verrà quando
sull’Alessandro imbarcherò…

Viareggio sei cambiata,
non ti conosco più,
venduta o barattata
sotto il tuo cielo blu;
di te non è restata,
mia piccola città,
nemmeno una facciata
di cinquant’anni fa.

I pizzi di San Gallo,
il pappagallo di Zi’ Terè,
i bamboretti in collo
velluto giallo sul canapè.
Gli orti con le mimose
son fra le cose che
più non ritrova Bocco,
tornato vecchio da Santa Fè.

Viareggio sei cambiata,
non ti conosco più,
venduta o barattata
sotto il tuo cielo blu;
di te non è restata,
mia piccola città,
nemmeno una facciata
di cinquant’anni fa.

Dov’è Viareggio timida
di cinquant’anni fa,
col buccellato al comodo
e’l pozzo da stasà.
Dov’en finiti i groncioli
per fa la panzanè,
la cena co’ ballocciori
e un salacchino in tre.

I pippori, le puppore,
le toppe sul sofà,
i caldanini, i canteri,
le scarpe a trainanà.
Le lendine, le caccole,
l’arcile, il canapè.
Le bucchie, le cimbraccole,
la lippa e ‘l catafè.

Che fine han fatto ‘billori,
i bruglioli, ‘l ghindò.
I semelli de’ Bamboli,
le chiappe dell’Angiò.
Di bodde e di ciottellore,
di ghiande del Perù.
Di pasimate e tullore
non se ne parla più.

Col triccheballacche
del tempo che muore
cantando rivado
l’antico colore.
E dal mondo che va così
per trarmi d’impaccio
lo sai cosa faccio?
Non dicendo che ciò che è cambiato
sia del tutto, del tutto sbagliato
io non vengo tacciato da ingrato
e beato ricordo i bei dì.

Lo zipolo, lo zenzero.
Sdilezzora un po’ vì.
Leva le seme al combalo,
un mi fa agganghì.
Mi s’è sturato un frugnolo,
il ciuccioro dov’è?
O Gavinosa, ‘l bambolo
pistellelo un po’ te.

Le zizzole, le ciocciore,
i fagioli da sgranà.
Fra mignori e mignagnore
passò la bella età.
Cadori e calapugnori
L’asfalto cancellò.
De’ ciottorini e ‘bignori
Ognuno si scordò.

Trabiccoli e ammenniori
han preso ormai la fè.
I tangheri, i belliori
con tutto il ciriè.
Ha detto bene ‘l Meccheri
dal novecento in su
Viareggio senza caccari
un si conosce più.

Col triccheballacche
del tempo che muore
cantando rivado
l’antico colore.
E dal mondo che va così
per trarmi d’impaccio
lo sai cosa faccio?
Non dicendo che ciò che è cambiato
sia del tutto, del tutto sbagliato
io non vengo tacciato da ingrato
e beato ricordo i bei dì.

I barbagianni, i moccoli,
mutande da sgrumà.
I peneri, li zoccoli,
capò da sbatacchià.
Non più a sedè su’ sogliori
da molti lustri in qua.
Baldorie co’pinugliori,
sacconi da rifà.

Va dal barbiere e tositi,
spidocchiti, Miè;
piglia ‘l bruschino e sgrumiti,
più leti non ce n’è.
Un ti lisà più ‘gomiti
goiate non ce n’ho.
Un t’ingubbià po’ vomiti,
cristeri un te ne fo.

Oggi ho ingollato un noccioro,
a letto devo sta’.
Mi s’è ‘mpiombato ‘l coccioro
ho voglia di oncà.
Va al monte pegni e spignora
la giacchettina blu,
risciacquiti la gnagnora,
che non ne posso più.

Ci son trenta panchine un po’ stinte
fra le più distinte
che vedi in città.

Quattro chioschi forniti con niente
e poi c’è la gente
che viene e che va.
C’è un ritrovo per vecchie signore,

tre ore per bere
una tazza di tè.
Ci son dodici vele sul mare
c’è un battito in cuore
però lei non c’è.

C’è un locale fra il chiuso e l’aperto
tra il ballo e il concerto
e un po’ liberty

che già vide Don Giacomo assorto
gustare il suo Porto pensando a Mimì.
C’è rimasto un barocco plafone
ambito blasone
dei noti caffè;
le abatjours, le maniglie d’ottone,
sei palme africane
però lei non c’è.

Passeggiata Margherita
se a incontrarla per prima sei te
devi dire alla mia fanciullezza
se per gentilezza
ripassa da me.

Devi dire alla mia fanciullezza
se per gentilezza
ripassa da me.

Sotto i tegoli del Quarantotto
formato ridotto dei grandi Bazar
c’è il mio primo giocattolo rotto,
un treno diretto
per dove chissà.
Tra le cose di gusto borghese
c’è un busto francese
firmato Bernè,
c’è persino un ventaglio cinese,
perfino due rose
però lei non c’è.

Strana amica, lontano è il passato,
il tempo incantato
fu rapido ma
a noi sembra di averlo vissuto
appena un minuto,
un attimo fa.

Ed è questa comune impressione
chiamata illusione
che spiega perché
tengo in serbo un leggero aquilone,
do un calcio a un pallone
però lei non c’è.

Passeggiata Margherita
se a incontrarla per prima sei te
devi dire alla mia fanciullezza
se per gentilezza
ripassa da me.

Devi dire alla mia fanciullezza
se per gentilezza
ripassa da me.

Passeggiata Margherita
se a incontrarla per prima sei te
devi dire alla mia fanciullezza
se per gentilezza
ripassa da me.

Devi dire alla mia fanciullezza
se per gentilezza
ripassa da me.

Devi dire alla mia fanciullezza
se per gentilezza
ripassa da me.

Gusmano, menestrello del Varignano, ho la rima facile e niente mi sfugge, serenate per tutte le occasioni: battesimi, cresime e matrimoni.
Conforto le vedove e se han sempre della ciccia addosso li faccio la funzione dei morti.
Ci siamo tutti? Bene!
Tanto guarda, la minestra è scodellata, il vino l’abbiamo travasato, il formaggio l’abbiamo grattato fino alla crosta, con lesso di ieri ci abbiamo fatto la frigassea e i bamboretti s’en già lavati le mani, il lavandino l’abbiamo sturato, alla zì Telene n’ha già fatto effetto la purga, la creolina nel comodo ce l’abbiamo buttata, il bottino è sotto il livello di sicurezza e un c’è periolo che stralevi, abbia c’è il pane per metterlo nelle torte di Pasqua, cominciamo domani, se nessuno si viene a rompe i coglioni si possiamo mettere anche a tavola.

Verrà o non verrà,
la rima non è facile si sa.
Ci prova la mì nonna che ha ottant’anni
col suo Giovanni e i ni fà
Vedrai che non verrà,
vedrai che non verrà.

Mangià abbiamo mangiato, i bamboretti la parte l’hanno già fatta, a bagnanti n’abbiamo scritto e i matrassin l’abbiamo rifatti, il latte l’abbiamo messo alla finestra perchè un s’accagli, la vecce è a grani sotto scava, i caldanini l’abbiamo sbracciati, il lumino a marittimi l’abbiamo acceso, la cassetta del pattume è sul sogliero, la zì Telene l’abbiamo rimboccata, carosello l’abbiamo visto, dov’è dov’è la donna l’abbiamo saputo, il bagno lo faccio un altr’anno, tanto te non ti si può toccà perché hai fatto il vuoto, se nessuno si viene rompe i coglioni si possiamo mettere anche a letto.

Verrà o non verrà,
la rima non è facile si sa.
Ci prova la mì nonna che ha ottant’anni
col suo Giovanni e i ni fà
Vedrai che non verrà,
vedrai che non verrà.

Il gallo ha cantato a gallina, la sirena dell’estense un ha sonato, i bamboretti un vohlino andà a scola, il latte si è incagliato, lo sciacquone si è intasato, la zì Telene è sempre viva. Piove, tira vento e trona, e io, che sono il padrone di casa, dovrei essere fresco come una rosa, ma siccome mi hai rotto i coglioni tutta la notte, ho più sonno di prima.

Parole, nient’altro che parole,
frasi soltanto che durano poco,
Appattumate come viene viene,
non pronunciate bene,
E tu, paziente come sempre,
come non mai, come faccio io,
Stai volentieri al gioco, Viareggio.
Amore mio perché lo sai
quanto ti si vol bene,
come eri, come sei, come sarai.
Forse non come prima, non lo so.
Sarai quel che vorrai,
purché tu sia sincera.
Quello che è fatto è fatto,
per me sta bene tutto.
Anche stasera, vada, non è che io vada alla ricerca vana di qualcosa.
Qualcosa che credevo aver perduto, no.
Questo è solo un saluto,
un cenno con la mano,
n po’ logro forse,
un po’ stantio,
Che viaggia verso te, ma
un te lontano,
Viareggio amore mio.

C’era una cordicella in via Pinciana
dove ogni viareggina stendeva i panni
vedevi le braette della grusiana ???
le camicette rosa di chi ha vent’anni
In via Macchiavelli c’è un’osteria
a dà lo zolfo all’uva c’era un gobbino
la sera dopo sette gotti di vino
veniva l’assistenza a portallo via
In piazza Sant’Andrea c’è una campana
ma prima il campanile era nell’orto
Su sette e sette giorni la settimana
sonava un giorno a festa e quell’altro è morto
In fondo alla via Regia un anno e via
dice che o viaggi c’era la farmacia ???
C’han preso più cristeri le tù cugine
che tutti l’ammalati alle Barbantine
In fondo a via Cairoli c’era un giardino
abbandonato, triste, senza calore
Ma sulla tomba bianca del Garibaldino
A maggio e tutti l’anni sbocciava un fiore
al Terminetto dietro la ferovia
Vedevi solo vigne ed uva granata
ti vede più tegami il cavalcavia
Che ciottorini il giorno dell’Annunziata
col fiasco con la brocca nonna Veniglia ???
Ripensiti alla polla di via Pinciana
quando il tu damo fresco di sabbatana ???
Ti regalò uno scialle fatto a Siviglia
e via Zanardelli verso il piazzone
Rimbiscarì per l’occhi d’una ragazza,
ma dopo il primo nasce del burbiglione,
Ni dissi attento Egisto leqqui stirazza.
Buon ti perdevi i vespri, le processioni,
parevi pitturata sopra un santino,
Hai spento più candele dietro a’ poggioni
che ceri il sagrestano di San Paolino.
Ha visto più rammendi il tuo reggipetto,
di quanti in sulle reti d’un vaporetto,
Han perso più battaglie le tue mutande.
Che fogli platanacci di Piazza Grande,
piazza Pinciana bella, piazza Pinciana.
Cerino, certe, donne da dà l’affanno,
ma erin di velle donne che ‘un te la danno.
Prima alla buonasera, finché fa giorno,
ci sono tre parole in fondo al cuore.
La gioventù Viareggio è il primo amore,
la gioventù è passata, Viareggio muore.
Tu resti come un ghiozzo col primo amore.
La gioventù è passata Viareggio muore,
tu resti come un ghiozzo col primo amore.

Quando un soffio di libeccio
corre lungo il vialone
È Viareggio
che mi canta una canzone.
Quando il mare dà di fori
e arriva in passeggiata
E’ Viareggio
che mi fa la serenata.

E perfino il lavarone
mi vien voglia di mangia’
e la rena della spiaggia
come zucchero ingolla’.

Quando un gozzo nel canale
ti ballonzola così
E’ Viareggio
che mi dice sempre sì

E perfino il lavarone
mi vien voglia di mangia’
e la rena della spiaggia
come zucchero ingolla’.

Quando un gozzo nel canale
ti ballonzola così
È Viareggio
che mi dice sempre sì

Con Viareggio un ci si fà
perché le’sa come fà
a arrivatti dritta al core
co un coriandolo di lì
La un cespuglio messo la’
ti rigira come vole
il mare il sole il cielo blu
ti butta lì icendo li vuoi
son tuoi ma resta qui.
Con Viareggio un ci si fa
perché sempre ti darà
un sorriso, un’emozione
il vestito che c’ha lè
mai di moda passerà
con Viareggio un ci si fa.

Link utili

  • La tabella con tutte le canzoni del Carnevale di Viareggio la puoi trovare a questo link.
  • L’albo d’oro delle canzoni del Carnevale di Viareggio è riportato in questa pagina.
  • I testi dei Festival di Burlamacco li potete trovare in questa pagina.